Lo sapevamo già che l’utopia socialista,costata milioni di morti e sofferenze inaudite, è morta e sepolta in questo secolo.

A dire il vero è dalla fine degli anni settanta,con lo scarto teoretico dei nouveau plilosophes francesi come Bernard Henri Levy,Furet,Gluksmann,che rifiutarono il marxismo come utopia di una filosofia della storia insuperabile,che il mondo borghese celebrò con soddisfazione il funerale dell’ utopia.

Niente di nuovo, visto quello che Albert Camus aveva pubblicato nel 1951 in “l’ Uomo in rivolta”disprezzato da J.P.Sartre, per la sua critica alla violenza della rivolta storica rivoluzionaria che ha portato i comunisti dall’Utopia allo stato totalitario.

Il catechismo rivoluzionario andato in crisi nel socialismo reale ,nella violenza dei gulag,nello stalinismo infinito della repressione poliziesca,nella Cambogia di Pol Pot,secondo i filosofi ex comunisti, faceva del socialismo un’utopia lorda di sangue.

Il tentativo di coniugare stato sociale,collettivismo,welfare occidentale, con il fallimento di Gorbaciov,mise fine alla speranza negli anni novanta,anche se l’ultimo segretario del PCUS, in un’intervista alla Humanite,’ dichiaro ‘la sua fedeltà a Lenin e la sua propensione alla socialdemocrazia.

Insomma l’Utopia non poteva essere imposta come un diktat di fallimenti e crimini.

Tutto non era stato sbagliato,non era da buttare,ma per anni si è professata la fine della storia come oggettiva fine della dialettica.

Oggi parlare di utopia socialista, crea solo il disagio di una nostalgia infinita.

Ma se parlo di difesa del socialismo nell’annosa prassi quotidiana non intendo certamente il chiacchiericcio e la vanagloria di parolai transeunti che vogliono fare una rivoluzione, magari senza aver fatto un’ora di lotta per diritti sociali e civili , rifugiandosi nel collettivismo come deresponsabilita’ individuale.

Parlo invece di quel processo inarrestabile ,carsico,di quella sana idealità che ha accompagnato in tutto il mondo la volontà di vivere in armonia con la natura,con l’umanità in generale,non solo per fini individuali,ma come progetto collettivo.

Ci troviamo infatti in compagnia di teorie e di governanti reazionari che evocano la libertà,nel momento in cui la vogliono seppellire.

Se parli di rave party,ad esempio,parli di sballati e fattoni,e non magari di giovani che praticano controcultura.

Se guardi al movimento delle donne nel mondo,per fare un altro esempio, interessa poco che il loro desiderio di libertà sia una marcia sacrosanta verso una piena emancipazione,importante e decisiva per il progresso del genere umano.

Interessano invece le quote rosa delle donne sole al comando.

Quello che è successo a Catania tra le ONG e il governo,per fare un ulteriore esempio, è l’apogeo dell’intolleranza e della meschinità nazionalista dell’Europa e dell’Italia.

Il conformismo di certa sinistra non più sinistra,ma convenzionalmente chiamata così,teme di passare per rivoluzionaria ed estremista,se si parla della riduzione della giornata di lavoro, della riduzione dei consumi superflui, dell’ ecologia come bisogno fondante l’essere del genere umano.

Forse è il Papa, con il limite del suo mandato, che custodisce l’utopia socialista,come fosse un’eresia cristiana da non cancellare.

E poi non è vero che il socialismo deve essere quello che decide un partitino o un’accolita di improvvisati perbenisti conformisti,pronti a tutto per difendere rendite di posizione comode e senza pericolo.

Camminare con lo sguardo rivolto in basso, forse troveremo il riflesso delle stelle nelle battaglie sane per la libertà di tutti i giorni.

Foto Non una di meno,grazie