Brano tratto da 1942 Ordine nuovo e prime sconfitte dell’Asse e book da 1939 -1942 Il racconto della guerra giusta vol 1 di Pierluigi Raccagni
Completamente gratuito dal 30 settembre al 4 ottobre
1942 LA GUERRA CIVILE NEI BALCANI
Nei Balcani occupati dai tedeschi e dagli italiani dal 1940 si scatenò una delle guerre civili più cruente della seconda guerra mondiale. Anche nei Balcani l’effetto dell’Operazione Barbarossa causò una vera e propria insurrezione contro le truppe dell’Asse che si ritenevano al sicuro, vista l’arrendevolezza dei Serbi durante l’invasione delle truppe naziste.
“Qui noi soldati siamo degli dei” scrisse un soldato della Wehrmacht alla sua famiglia”, enfatizzando la potenza del Nuovo Ordine in quella parte dell’Europa.
Non aveva fatto i conti con una situazione che si presentava complicata sotto vari aspetti.
È bene ricordare che nei Balcani la conflittualità etnico – religiosa era fisiologica.
In Croazia i cattolici si opponevano ai serbi, i serbi in quanto greco ortodossi si opponevano ai cattolici, e i cattolici insieme ai serbi si opponevano ai musulmani.
In tal miscuglio di interessi particolari, di fazione, di tribù mantenere l’ordine e un senso dello stato era cosa difficile per le truppe di occupazione del Feldmaresciallo Wilhelm List, il cui quartier generale si trovava in Grecia.
Le tre divisioni del generale Paul Bader, male addestrate e poco equipaggiate, (le migliori formazioni si trovavano sul fronte russo), faticavano non poco a mantenere l’ordine della svastica.
Per i partigiani serbi non era difficile farla franca, dopo attacchi alle truppe dell’Asse, coperti da una popolazione solidale con i combattenti, i nazisti si “limitavano” ad uccidere per rappresaglia gli ebrei già rastrellati, non facendo altro che il gioco dei partigiani comunisti che presero presto un ruolo egemonico nella Resistenza.
In quell’area chi doveva vigilare era l’Italia fascista di Mussolini\che aveva buon gioco nel dire che la repressione delle popolazioni locali era un tributo dovuto alla causa dell’anticomunismo mondiale.
D’altronde l’Italietta del Grosso Caporale aveva buon gioco nel vantarsi di partecipare alla conquista dello “spazio vitale “in salsa italiota.
In fondo l’Italia era presente con il Regio Esercito in Slovenia e Croazia, Kosovo e Macedonia, era pure sul suolo albanese, protettorato dell’Italia.
E il Montenegro, paese natale della Regina Elena, era sotto il controllo militare italiano, così come la Grecia continentale.
La guerra nei Balcani, però, non fece altro che aggiungere anarchia ad anarchia, e gli italiani si trovarono nel mezzo di una guerra dove la popolazione civile collaborava con i partigiani, assaltava i reparti del Regio Esercito, disprezzava gli invasori visti come servi degli aguzzini tedeschi.
Qui gli “italiani brava gente” non poteva funzionare, perché i soldati italiani si trovarono a dover reprimere l’insurrezione partigiana per non essere sopraffatti.
Incendiando villaggi, organizzando plotoni di esecuzione contro contadini e civili, per la prima volta nella guerra gli italiani vennero visti anch’essi come sintesi militare del nazi – fascismo.
Nei Balcani si uccideva per necessità militare, non per crudeltà biologico – razziale, spiegò il comandante della divisione granatieri di Sardegna:
“Durante il pranzo, il comandante disse che alcuni esempi di severità, somministrati con giustizia, avrebbero fatto bene alla popolazione della zona (…) I nostri esploratori hanno ucciso per sbaglio una donna di sessant’anni, un bambino di dieci, una bambina di quattordici (…)”.
Cfr. Gianni Oliva, S’ammazza troppo poco, i crimini di guerra italiani 1940 – 1943, Milano 2006, pag. 89
I militi italiani non erano abituati alla sistematica rappresaglia contro le popolazioni civili.
Come tutti i soldati del mondo anche quelli dell’Italia di Mussolini vedevano nella rappresaglia il giusto mezzo per vendicare i propri compagni uccisi nelle imboscate, per ricompattare lo spirito di corpo, per tirare avanti cercando di arrivare alla fine della leva.
Non era una scelta politica vendicare i propri compagni caduti.
Questa almeno fu la posizione che l’Italia dovette tenere alla fine della guerra per non essere accusata di crimini contro l’umanità.
I fascisti, invece, si trovavano finalmente a menar le mani come Hitler comandava, il loro terrore era un surrogato del terrore del Terzo Reich in tutto l’est dell’Europa.
“Il legame fra il combattente e il suo compagno d’armi ferito era sempre stato uno dei valori che avevano cementato l’unità morale e politica di tutti i movimenti di ribellione.
L’insurrezione partigiana dell’autunno del 1941 contro le truppe di occupazione italo – tedesche significò una rottura totale contro questa legge non scritta dalla guerriglia balcanica.
Fin dall’inizio il nemico attuò una politica di deliberato sterminio dei feriti e dei malati, come mezzo per fiaccare il morale della banda partigiane, colpendone le radici.
Nei bollettini giornalieri delle unità tedesche e italiane l’uccisione dei feriti veniva riportata come un successo militare”.
Cfr. F. W. Deakin, La montagna più alta, Milano 1972, pag. 62
E poi c’erano le stragi compiute dai partigiani dei vari schieramenti che faranno della resistenza nei Balcani una tragedia che si protrarrà fino alla guerra del 1991 con il disfacimento della Jugoslavia.
A guidare i comunisti vi era Josip Broz, detto Tito, che aveva dato il via al partito comunista jugoslavo con l’intento di aiutare l’avanguardia del proletariato mondiale, l’Unione Sovietica, a diffondere la rivoluzione nel mondo e a salvarsi dalle bestie nazi – fasciste.
L’internazionalismo del partito, la figura carismatica del suo leader, la capacità di organizzare nelle zone occupate dalla Resistenza la vita civile, il venire incontro alle esigenze delle classi più umili, conquistò alla causa dell’insurrezione jugoslava la maggioranza del popolo.
“A fianco dei partigiani si stavano schierando volontari di tutti i gruppi etnici e religiosi. Pochissimi erano comunisti, mentre tutti erano convinti che i partigiani combattessero non solo per l’indipendenza, ma anche per una maggiore libertà della Jugoslavia (…)
(…) Ma soprattutto l’Agit-prop (l’organizzazione propagandista comunista N.d.A.), spiegava alla gente che i partigiani e il partito comunista credevano nell’unione fraterna di tutti i popoli della Jugoslavia.
Avrebbero protetto i musulmani dai fascisti croati e serbi, i serbi dai fascisti croati e musulmani e i croati dai fascisti musulmani e serbi. Non c’era ragione perché i tre gruppi etnici in Bosnia non potessero convivere in pace, visto che in Unione Sovietica, terra del socialismo, centosettanta razze e nazionalità diverse vivevano in pace e amicizia”.
Cfr. Jasper Ridley, Tito, Milano, 1996, pagg. 161, 162

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