Brano tratto da 1939 – 1945 il racconto della guerra giusta vol 2 Pierluigi Raccagni.

Quando Stalin aveva promesso di trasformare l’Urss in un campo di battaglia non aveva di certo fatto retorica, ogni aspetto della vita quotidiana era stato trasformato, gli operai dovevano lavorare sessantasei ore alla settimana, tutto era stato subordinato alla produzione di armi o rifornimenti per l’Armata Rossa.

Ora si trattava di attuare la riconquista, ma anche la vendetta spietata contro coloro i quali avevano trattato i russi come subumani:

“Göring, circa nello stesso periodo, si lamentò con Ciano di casi di cannibalismo fra prigionieri russi, aggiungendo ridendoci su, che adesso stavano un po’ esagerando, avevano mangiato persino una sentinella tedesca! La politica di Hitler, nel periodo prima di Stalingrado mira chiaramente a dimostrare la natura d’Untermensch dei russi, riducendoli precisamente al cannibalismo.

(…) Quando noi gli gettammo un cane morto seguì uno spettacolo da far vomitare. Strillando come pazzi, i russi si gettarono su quell’animale, facendolo a pezzi con le mani nude (…) Si cacciavano in tasca le budella, una specie di razione d’energia”.

Cfr.A. Werth, op.cit.pag.684

Nel 1944 l’Armata Rossa riconquistò le zone occupate dai tedeschi e verificò cosa questi avevano fatto alla popolazione civile. I prigionieri tedeschi e tutti quelli che capitarono sotto il dominio dell’Armata Rossa pagarono il massacro dei nazisti.

1944 LENINGRADO LIBERATA

A Leningrado il peggio era passato.

Nel gennaio del 1943 i sovietici avevano ripulito gli ultimi nidi di resistenza tedesca sulle sponde del Lago Lagoda, si era aperto così un corridoio largo dagli 8 agli 11 chilometri, attraverso il quale Leningrado ritrovò un contatto con il resto del Paese.

Il blocco attuato dai nazisti, che aveva causato la morte per fame di migliaia di cittadini, finalmente si era spezzato.

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L’assedio però continuava, la vita nella città era estremamente pericolosa perché i tedeschi intensificarono i loro bombardamenti, sia con l’artiglieria, sia con l’aviazione: nel settembre del 1943, a causa delle devastazioni naziste, furono chiusi scuole e locali pubblici.

Insomma il ritorno alla normalità era iniziato, ma procedeva molto lentamente.

La certezza di poter contare su un sostanzioso approvvigionamento consentì alle autorità un ulteriore aumento delle razioni, il treno che passava coi rifornimenti portò un po’ di sollievo e felicità ai leningradesi rimasti in città.

Ora però si doveva passare all’offensiva

Il generale Govorov era ottimista; nel 1941 Leningrado aveva fermato i tedeschi, nel 1942 non si era ceduto un palmo di terreno, nel 1943 il blocco era stato spezzato. Ora bisognava concludere l’operazione con la liberazione totale della città dall’assedio.

L’operazione invernale fu decisa dallo Stato Maggiore del Fronte di Leningrado a settembre, con il placet di Mosca.

A guidare l’ennesimo tentativo di rompere l’accerchiamento furono inviate alcune star del firmamento dell’Armata Rossa.

La seconda Armata d’assalto fu affidata al generale di divisione Fedjuninski, già distintosi sul fronte di Leningrado e la 42a Armata al generale Ivan Maslennikov.

Il primo obiettivo dei sovietici era la riconquista di Gatcina, per costringere i tedeschi ad abbandonare Mga, se non volevano cadere nell’ennesima sacca.

L’”Operazione Neva”, questo il nome in codice dell’attacco sovietico, scattò il 14 gennaio con un bombardamento che colpì le linee tedesche con 100.000 proiettili, poi partirono fanteria e mezzi corazzati alla volta delle postazioni fortificate dei tedeschi.

Per oltre due giorni le difese tedesche riuscirono a tenere testa all’offensiva, fino a che il 18 gennaio i sovietici occuparono Puskino, Krasnoje Selo e Gatcina.

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Il giorno seguente avvenne il ricongiungimento a Ropscia fra le truppe di Maslennikov e quelle di Fedjuninski: i tedeschi si ritirarono verso i paesi Baltici.

Il 27 gennaio, giorno della liberazione di Leningrado, le salve di 300 cannoni celebrarono la ritrovata libertà dopo un assedio durato 882 giorni.

Leningrado “ce la fece”, nonostante gli errori grossolani della mancata evacuazione iniziale della città, nonchè della sottovalutazione dell’assedio nei primi due mesi e del mancato accumulo di riserve alimentari.

Affermare, come è stato scritto da alcuni storici, che la resistenza di Leningrado fu determinata dal terrore staliniano che impedì alla città di dichiararsi “città aperta”, è folle perché sottovaluta quella commistione fra patriottismo russo, ardore rivoluzionario e organizzazione sovietica che fece di Leningrado una città “particolare”, che non adorava tanto Stalin quanto il proprio ruolo di culla della Rivoluzione.

Una città “di sinistra”, come si dice, come nel caso della poetessa antistalinista Olga Bergholc, che non mancò mai di nutrire grandi speranze nel sovietismo.

“Nel fango, al buio con la fame e la tristezza Quando la morte, come un’ombra ci seguiva,
così felici siamo stati e una tale libertà selvaggia abbiamo respirato che i nipoti ci avrebbero invidiato Che viva e regni ora e per sempre
la gioia semplice dell’uomo

fondamento della difesa e del lavoro immortalità e forza di Leningrado! Sorelle mie, compagni, amici e fratelli…