Brano tratto da 1939 – 1945 Il racconto della guerra giusta,vol 1,e book gratuito da oggi fino al 4 febbraio.

Morire sulle Alpi.

Il primo contatto con la guerra fu anche il primo contatto con la totale mancanza di preparazione alla guerra.
Mancanza assoluta di un’artiglieria moderna (i pezzi d’artiglieria erano dell’altra guerra).
Gravi deficienze nel rifornimento delle munizioni. Mancanza di pezzi di grosso calibro.
Mancanza di mezzi di trasporto per le truppe e delle ambulanze per i feriti.

Mancanza totale di vestiario per i soldati che nel giro di poche ore congelarono sulle Alpi francesi; erano vestiti come fossero pronti per una battaglia in pianura o in riva al mare.
Per cui l’avanzata italiana in terra francese fu miserevole.
Le truppe italiane che puntavano su Nizza furono fermate a Mentone, l’offensiva sulle Alpi si rivelò catastrofica, come abbiamo accennato in precedenza.
Lo stesso Starace, segretario del PNF, di ritorno dal fronte alpino disse che l’attacco alle Alpi aveva documentato la totale impreparazione dell’esercito, l’assoluta mancanza di mezzi offensivi, l’insufficienza completa nei comandi.
Secondo Starace si erano mandati gli uomini incontro ad una inutile morte due giorni prima dell’armistizio: ma le lacrime di coccodrillo di Starace urtavano contro il volere del Duce che esigeva qualche centinaio di morti per sedersi al tavolo della pace.
“Il comando militare sa che solo un terzo dei soldati è pronto a combat- tere ai primi di giugno e piange sull’addestramento, sui mezzi ma c’è qualcosa d’altro e di più grave: dal 1935 il paese vive in uno stato continuo di tensione, di eccitazione che può aver creato nella piccola borghesia in cerca di posti una certa attesa del nuovo, una certa liberazione dal mediocre tran tran quotidiano, ma che ha diffuso fra i ceti popolari una stanchezza mortale. Operai e contadini si sono resi conto che l’imperialismo non paga, nel senso che a ogni conquista territoriale, a ogni vittoria è seguito in patria un inasprimento delle condizioni di vita, nel migliore dei casi una stagnazione (…) C’è stato per anni uno sforzo suppletivo che nessuno ha calcolato in moneta e misurato in orario, ma la gente ne è stremata, la voglia di combattere, posto che l’abbia mai avuta, se ne è andata con le pene di ogni giorno”
Cfr. Giorgio Bocca, Storia d’Italia nella guerra fascista, op. cit. pag. 148

Poca voglia di combattere, dunque, da parte di un esercito di “otto milioni di baionette” che non hanno nemmeno le divise invernali per reggere il freddo delle Alpi occidentali nel mese di giugno.

Eppure Benito Mussolini, convinto di fare una guerra per finta, si butta in una disarmante strategia di ordini e contrordini tale da portare in modo criminale i soldati italiani a morire per nulla.
Ogni giorno cambiava idea su dove attaccare e come attaccare: voleva cambiare lo schieramento difensivo in quello offensivo in tre giorni. Stizzito dal bombardamento di Genova dopo la dichiarazione di guerra, ordinò un’offensiva generale a Badoglio, ma la guerra vera iniziò solo due giorni prima dell’armistizio.
Così, mentre la Francia stava collassando, i successi italiani furono davvero miseri, nonostante la propaganda interna facesse di tutto per far risaltare le splendide vittorie mai avvenute.
Questa contraddizione fra una guerra che non si voleva combattere e l’ambizione mussoliniana di insegnare agli italiani l’arte della guerra, portò un senso di angoscia e frustrazione prima di tutto fra i gerarchi fascisti e i ministri del regime.
Al Piccolo S. Bernardo saltarono sulle mine anticarro francesi i piccoli carri armati della divisione Trieste, sul Moncenisio ci fu una piccola avanzata combattendo casa per casa, parziali successi furono ottenuti nella zona del colle Maddalena e nella valle Roja si arrese il forte delle Traversette.
Lungo la costa, come abbiamo accennato, l’offensiva si fermò a Mentone.
La frontiera francese era stata valicata, ma il sistema offensivo del nemico aveva tenuto, nonostante Mussolini avesse esortato le nostre truppe a “incalzare il nemico”
Una foto testimonia quello che accadde nella breve battaglia contro la Francia.
Davanti al semplice monumento di un piccolo villaggio alpino occu- pato dalle truppe italiane, si vede un soldato italiano rendere omaggio ai caduti francesi deponendo dei fiori ai piedi della statua.
Anche se Mussolini e qualche gerarca in attesa di facili promozioni incitavano alla guerra, non vi era la minima animosità nell’esercito che invasa la Francia, doveva mettere pure in soggezione Inghilterra e Germania!

Così si arrivò all’armistizio di Villa Incisa con la coscienza tranquilla, in fondo con 59 ufficiali e 572 soldati morti, 2.500 feriti, e 2150 colpiti da congelamento, il volere mussoliniano di sedersi al tavolo della pace con un centinaio di morti, era stato esaudito.
Il 24 giugno l’Italia presentò il conto ai francesi, ma gli stessi plenipo- tenziari d’Oltralpe rimasero meravigliati dalla loro mitezza.
In realtà era stato Hitler a consigliare agli italiani di andarci piano, non voleva inasprire i rapporti con Pétain in senso di collaborazionismo fascista contro De Gaulle e si rendeva conto che gli italiani prima uscivano dalla guerra, prima la Germania ne avrebbe tratto profitto.
Non sorprenda che l’armistizio fra Italia e Francia sia stato firmato a Roma il 24 giugno 1940, fra Badoglio e il generale Huntziger.
Il 18 giugno, ad una settimana dall’entrata in guerra dell’Italia, Hitler chiamò a Monaco Mussolini e Ciano per intavolare le trattative coi francesi.
Hitler non si oppose alle richieste del Duce (Corsica, Nizza, Tunisia, Gibuti, occupazione della Francia meridionale fino al Rodano), ma non volle consegnare agli italiani la flotta francese.
Quando Mussolini tornò a Roma decise di dare il via all’offensiva sulle Alpi senza alcun successo.
Alla fine gli italiani rimasero a occupare le zone di confine conquistate, in più veniva garantita una zona smilitarizzata di 50 Km.
Mussolini tentò di far credere che l’Italia avesse fatto vantaggiose con- quiste per il suo impero, ma il sogno di grandezza italica si era già spento in tutta la penisola.
Ciano sul suo Diario il 25 giugno annotava: “In Italia non si conoscono ancora le condizioni dell’armistizio, ma già le voci serpeggiano e creano un notevole disagio. Si credeva a occupazioni immediate e gratuite; si pensava che tutti i territori non conquistati con le armi passassero a noi in forza dell’accordo. Quando il documento sarà pubblicato la delusione crescerà ancora”.