da Pierluigi Raccagni 1939 – 1945 il racconto della guerra giusta,vol 1, in inglese gratuito qui sotto il 1940..
1940. IL GROSSO CAPORALE ENTRA IN GUERRA
L’Italia non era entrata in guerra con la Germania contro la Polonia. La decisione aveva accontentato davvero tutti.
Francia e Inghilterra, ad esempio, furono sollevate dalla momentanea non belligeranza dell’Italia, che secondo loro, avrebbe potuto anche trasformarsi in una neutralità permanente.
Non per niente l’Inghilterra e la Francia avevano stipulato patti commerciali con l’Italia.
Anche la Germania, in fondo, non era troppo dispiaciuta che l’Italia fosse stata alla finestra quando Hitler aveva annientato la Polonia.
Da una parte gli italiani, agli occhi dei tedeschi, erano ambigui per i loro scambi economici con gli Alleati, ma in fondo la non belligeranza aveva tenuto psicologicamente in apprensione proprio la Francia durante il periodo della “Drôle de guerre”, (nessuno immaginava che l’esercito del Duce fosse poca cosa).
Il problema per l’Italia era se fosse ancora sostenibile la non bellige- ranza da parte del regime di Benito Mussolini.
Il Duce era convinto che la pace armata avrebbe portato l’Italia ad un ruolo subordinato rispetto alla Germania.
Anche se i rapporti con Francia e Inghilterra politicamente erano ai ferri corti, l’impreparazione alla guerra avrebbe comportato una condotta difensiva e passiva nell’ambito del Patto d’Acciaio.
Una soluzione c’era per il grosso caporale Benito: una colorita e semiseria breve guerra che comportava una condotta scaltra, da furbacchioni, da veri e consumati commedianti.
Le tappe di avvicinamento “all’ora delle decisioni irrevocabili” sono pertanto sofferte, ma tutto sommato scontate.
Il 10 aprile del 1940, quando la Germania invase la Norvegia, l’uomo Mussolini fremeva per entrare nella storia, sentiva che la Germania avrebbe vinto la guerra e cominciò a lamentarsi della sua solitudine di italico guerriero incompreso.
Il Duce sosteneva che era “umiliante stare con le mani in mano mentre gli altri scrivevano la storia”.
“Per fare grande un popolo bisogna portarlo al combattimento, magari a calci in culo”, disse il novello Cesare. “Così farò io”.
Mussolini era convinto che bisognava cogliere l’occasione per misurare la Marina con quelle franco-britanniche perché forte di 600.000 tonnellate di naviglio.
Guardacoste e panfili servivano per “portare a passeggio le signorine”, l’Italia fascista non aveva la flotta più potente del mondo?
C’era consenso servile, quasi unanime, da parte dei cortigiani di Mussolini in cerca di gloria e di facili ricchezze sulla volontà del Duce per un’entrata in guerra da decidere entro breve tempo.
Lo stesso Badoglio, in una riunione dove parteciparono i capi di Stato Maggiore, disse che ormai era inequivocabile l’assoluta volontà del Duce di intervenire nella direzione e nel momento opportuni.
“È indispensabile quindi affrettare i preparativi”.
Galeazzo Ciano aveva sempre manifestato la sua posizione antitedesca. Il genero di Mussolini nonché Ministro degli Esteri, aveva fatto due conti e comprendeva che con la Germania non solo c’era poco da guadagnare, (in cambio di materie prime i tedeschi avrebbero preteso dagli italiani prodotti alimentari, violando così il sistema dell’autarchia, sulla quale si reggeva la fortuna della borghesia fascista che faceva riferi- mento a Ciano), ma c’era anche da aver paura delle conseguenze.
Ciano sapeva che i tedeschi in Polonia stavano facendo un vero e prprio macello fra la popolazione civile; ciò certamente non lo preoccupava dal punto di vista umano e morale.
I tedeschi e la loro pratica terroristica spaventavano i Ciano e la monarchia che volevano trarre enormi vantaggi e profitti dalla guerra senza sporcarsi troppo le mani.
Ciano non era dignitosamente contro la guerra.
Fu lui a passare agli occidentali le foto della mattanza commesse dai soldati tedeschi in Polonia, fu lui a premere sulla stampa perché rima- nesse equidistante nel raccontare la campagna nazista all’est, fu lui il 7 dicembre del 1939, a rivelare la clausola segreta del Patto d’Acciaio che prevedeva tre anni di tempo prima di scatenare la guerra. Hitler era quindi un bugiardo in malafede, Mussolini un caporale grande e grosso invidioso di un caporale piccolo diventato grande troppo in fretta.
Gli affari, secondo il fascista Ciano, andavano a gonfie vele, e più l’Italia se ne stava fuori dal conflitto, più aumentavano i profitti degli indu- striali e della classe dirigente: “La neutralità comincia a dare frutti concreti; le borse vanno alle stelle, giungono le prime commesse dalla Fran- cia, i piroscafi riprendono a navigare a prezzi raddoppiati e sono pieni come un uovo.
Il Duce prende gusto a tutto ciò, ma non ancora abbastanza. Bisogna dirgli che abbiamo bisogno di un periodo di neutralità grassa, per en- trare poi in guerra come lui desidera. Ma non prima di un anno, e lui è d’accordo.”
Ciano scrisse queste riflessioni imprenditoriali il 5 settembre del 1939, sul suo Diario.
Il fascismo italiano, fu gretto, meschino, lurido nelle sue alte sfere che mettevano in conto morti e feriti come si mette in conto denaro contante e titoli al portatore.

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