1. L’ATTACCO A PEARL HARBOUR

Alle strette il Giappone non ebbe quindi altra scelta: gli Stati Uniti non solo avevano scelto la strada dell’embargo delle materie prime, ma avevano escluso qualsiasi possibilità di espansione dell’Impero nella co- struzione della Grande Asia.
Il 6 settembre del 1941 gli stati maggiori nipponici presentarono un piano di guerra che si articolava su vari fronti.
Piano di guerra
Attacco di sorpresa contro la flotta del Pacifico di base a Pearl Harbour. Sbarchi simultanei nelle Filippine a Guam, a Hong Kong, al Borneo e in Malesia.

Estensione delle conquiste verso Manila e Mindanao, Wake, Singapore e occupazione del Siam.
Conquista delle Indie olandesi (Giava e Sumatra). Offensiva in Cina
Attacco della Birmania e occupazione delle isole Andamane.
Le ambizioni del Giappone erano notevoli: si apprestava a far guerra agli Stati Uniti, alla Gran Bretagna, all’Olanda e alla Cina.
I sogni di grandezza, come nel caso della Germania di Hitler, diventeranno l’ideologia di una guerra di sterminio.

  1. PRONTI ALL’ATTACCO

Il piano d’attacco, dopo il fallimento delle trattative con gli americani, era stato elaborato a metà novembre del 1941.
Il 22 novembre le navi avevano raggiunto a scaglioni, o singolarmente, per non dare nell’occhio, la baia di Tankan nell’isola di Iturup, appar- tenente alle isole Curili: isole poco popolate e quasi sempre avvolte da una nebbia fittissima; era il luogo ideale per nascondersi in attesa dell’agguato che prevedeva un attacco a sorpresa.
L’ideatore dell’impresa era l’ammiraglio Isoroku Yamamoto.
Il comandante in capo delle flotte riunite giapponesi aveva studiato ogni particolare coi membri della scuola militare di Tokio.
Non senza trovare parecchi ostacoli sul suo cammino.
Quando alla fine di agosto del 1941 Yamamoto sottopose il piano per l’attacco a Pearl Harbour, il comandante in capo della flotta giapponese obiettò che l’impiego di una formazione navale così possente avrebbe significato l’indebolimento delle forze giapponesi destinate al fronte orientale.
Infatti l’operazione Pearl Harbour non costituì il perno del piano operativo generale che guardava, come abbiamo visto in precedenza, alla Malesia, a Singapore e alle Filippine.
Dotato di grande coraggio fisico, molto abile nelle relazioni diplomatiche, l’ammiraglio era uomo che godeva di stima da amici e avversari.

Aveva studiato approfonditamente tutte le tattiche militari della guerra sui mari e da molto tempo aveva capito che lo strumento fondamentale dei combattimenti navali non era tanto la corazzata, quanto la portaerei, circondata da caccia e aerei da ricognizione, oltre che da cacciatorpediniere e da sottomarini.
Gli ingegneri giapponesi si erano dedicati alla costruzione di portaerei.

Navi e aerei erano il punto di forza di una nazione che aveva acquisito una tecnica di avanguardia nella costruzione di strumenti navali e ae- reonautici (telemetri, binocoli da giorno e notte, apparecchi di puntamento, periscopi di sommergibili ecc.).
La flotta marittima aerea e navale dei giapponesi nel dicembre del 1941 era senz’altro superiore a quella americana.
Infatti il 26 novembre, a capo dell’ammiraglio Chūichi Nagumo, si intravidero ben 6 portaerei, (Akagi, Kaga, Shokaku, Zuikaku, Hiryu, So- ryu), 2 corazzate, 2 cacciatorpediniere e 31 sommergibili.
L’imponente flotta prese il mare dirigendosi verso l’isola di Oahu nelle Hawaii.
Tre sommergibili e nove petroliere seguivano la flotta.
L’atmosfera era carica, sui ponti delle navi si moltiplicavano le grida di Banzai, il sakè scorreva a fiumi, l’esaltazione per essere in procinto di attaccare gli occidentali rasentava il fanatismo.
La dichiarazione di guerra sarebbe stata ufficializzata solo mezz’ora prima dell’attacco.

Completamente gratuito dal 17 al 21 settembre….