Alle 03:00 di notte fu consegnato a Metaxas, primo ministro ellenico, l’ultimatum che richiedeva l’immediata cessazione delle attività anti- italiane: Hitler e i suoi ultimatum avevano fatto ormai scuola.

Così l’Italia fascista entrava in una guerra di aggression contro un popolo povero, che nulla c’entrava con i regimi plutocratici di Francia e Inghilterra.

Mussolini aveva previsto l’attacco per il 26, Badoglio, dopo la famosa riunione di Palazzo Venezia, riuscì a spostarlo al 28 ottobre.

Il capo di Stato Maggiore iniziò la sua ambigua condotta nei confronti del fascismo che gli aveva dato gli onori di comandare le truppe che, avevano portato a Roma il trofeo dell’Etiopia nel 1936.

A Soddu Badoglio disse che era “impossibile mobilitare le truppe in così breve tempo”, ma a Mussolini non disse nulla.

Naturalmente regnava il caos fra gli alti comandi che non avevano idea della logistica di Albania e Grecia.

Il 28 ottobre a Firenze un Mussolini raggiante accolse Hitler con una delle sue affermazioni che passeranno per profezia di sventura: “Führer stiamo marciando, all’alba da oggi le truppe italiane vittoriose hanno attraversato la frontiera franco-albanese!”.

Le truppe italiane avanzarono nell’Epiro, ma trovarono subito una forte resistenza da parte dell’esercito greco, che era poca cosa, ma si batteva con coraggio e determinazione per una causa nobile come la difesa della propria terra e della propria vita.

Bisogna ricordare che il responsabile delle operazioni era quel generale Visconti Prasca, che verrà poi sostituito, vista la sua indecente condotta della guerra.

In condizioni atmosferiche spaventose, i poveri soldati italiani furono mandati al massacro sui monti dell’Epiro senza riuscire a sfondare da nessuna parte la linea difensiva dei greci e senza espugnare Kalibaki, punto decisivo della battaglia.

Gli aiuti degli inglesi erano insufficienti, quindi non si poteva dire che le truppe italiane fossero state fermate da un nemico ben armato, così come stava accadendo sul fronte Nord-africano.

Quella che doveva essere una folgorante marcia verso Atene si trasformò in una guerra di posizione che vide gli italiani pagare a caro prezzo la follia dei comandi militari e di Mussolini: le camicie nere albanesi defezionarono alle prime difficoltà, l’accerchiamento da parte dei greci diventò possibile l’8 novembre quando questi ultimi entrarono nell’Albania meridionale.

L’unica cosa che si poteva fare era quella di ritirarsi abbandonando posizioni importanti come Argirocastro, sul confine jugoslavo, a poca di- stanza dal mare.

Il congelamento dei fanti e degli alpini, che si batterono con coraggio, era la normalità. Quelli della Julia, il 10 novembre, si ritrovarono al ponte di Perati da dove erano partiti il 28 ottobre.

Nacquero in quel contesto le canzoni tristi che accompagneranno come colonna sonora la tragedia degli alpini e dei soldati in terra greca e poi nelle steppe del Don.

“Sul ponte di Perati bandiera nera, l’è il lutto della Julia che va alla guerra, la meglio gioventù che va sotto terra”

Tutti i contendenti riconobbero agli alpini l’onore delle armi, ma questi si ritirarono verso le retrovie con un quinto degli effettivi in meno, con la stanchezza di una disfatta, per essere andati allo sbaraglio per una guerra voluta dall’alto con colpevole leggerezza.

E che fosse una guerra inutile, cattiva, contro una popolazione ridotta alla fame lo testimonia l’Ufficiale Ugo Pirro: “(…

) arrivammo ad Atene il mattino seguente.

Cantavamo felici come fossimo giunti in una città italiana, ma la nostra allegria finì all’improvviso alle prime case della periferia. Il fracasso del motore vuotava le case, a centinaia le donne si gettavano sulla strada gridando: “Psomì, Psomì” .

Chiedevano il pane che da mesi mancava: non c’era nella voce rabbia o sdegno per i nostri visi nutriti, la fame aveva ormai mangiato anche i loro legittimi sentimenti di vendetta”

Cfr. Enzo Biagi, n. 17, op. cit. pag. 536

Le truppe italiane si ritirarono e la notizia fece il giro del mondo.

Le conseguenze per il nostro Duce, come vedremo, furono catastrche.

Metaxas, primo ministro, annunciò per radio la vittoria verso la fine di novembre, Halifax alla Camera dei Comuni inglese tributò un elogio all’eroico popolo greco.

Il semestre di guerra italiano aveva smascherato l’inefficienza criminale di Mussolini come capo delle forze armate.

Il problema non era tanto che lo avevano capito gli inglesi e i francesi, il problema è che lo aveva capito la Germania di Hitler.