1940. UN GIOCO PIUGRANDE DEL DUCE

Benito Mussolini con l’attacco alla Grecia del 28 ottobre del 1940, anniversario diciotto della Marcia su Roma, entrò in un gioco più grande di lui e non ne seppe più uscire.

Come sottolinea Giorgio Candeloro nella sua Storia dell’Italia Moderna: “L’aggressione alla Grecia fu un fatto non meno ripugnante dell’attacco alla Francia” (…) e “la guerra contro la Grecia fu uno dei più gravi errori politici e strategici compiuti da Mussolini e dai comandi militari (…)”.

Il susseguirsi di errori di valutazione in Francia o nell’attacco alla Libia furono nulla in confronto all’avventura in terra ellenica.

Questa volta non solo l’Italia uscì a pezzi dal punto di vista del suo prestigio (falso e retorico) di grande potenza, ma portò il rapporto fra italiani e tedeschi ai primi segnali di rottura.

Non certo per colpa dei tedeschi.

Come abbiamo accennato in precedenza, Hitler nel luglio del 1940, durante il fallito tentativo di sbarco in Inghilterra, si era orientato ad attaccare l’URSS prima che finisse la guerra con la Gran Bretagna.

Hitler si contraddisse più volte sulla questione dell’attacco a est.

Era il suo obiettivo strategico fin dal 1925 quando nel Mein Kampf scrisse: “Quando oggi parliamo di un nuovo territorio in Europa dobbiamo pensare in primo luogo alla Russia e agli altri stati limitrofi suoi vassalli…il colossale impero dell’Est è maturo per il crollo, è la fine del dominio ebraico in Russia (…)”.

Una delle ragioni addotte nell’agosto del 1940 da parte dei generali del comando supremo tedesco per dissuadere Hitler da un attacco a Est entro l’anno, era stata determinata dalla necessità di assicurare un as- setto stabile nei Balcani.

Si aprì in questo modo la questione romena.

Hitler era convinto che la Romania fosse importante, anche se era sotto l’influenza sovietica per il trattato nazi-sovietico del 1939.

Le risorse naturali del territorio, la posizione strategica al confine meridionale dell’URSS, con la fine del 1940 diventarono un obiettivo per il Terzo Reich.

Il 30 agosto del 1940, in quello che possiamo definire il periodo diplomatico-politico di Hitler, fu firmato l’accordo, un vero e proprio diktat, che imponeva nuovi confini a ungheresi e romeni.

Il diktat firmato da Ribbentrop e Ciano non solo allungava l’ombra del nazi-fascismo sull’Europa, ma era da considerarsi un vero posiziona- mento dei tedeschi per un futuro attacco a est.

Che qualcosa stesse maturando nella testa del Führer era chiaro. Mussolini, che si credeva un politico di razza, capiva che il nazismo ormai aveva l’egemonia sull’Asse dettata dall’organizzazione e dalla radicalità che Hitler materialmente metteva nella sua concezione della guerra per il trionfo del fascismo internazionale.

Mussolini ne era abbagliato, ma anche impaurito, soprattutto sapeva che i tedeschi non facevano finta.

1940. IL MASSACRO ANNUNCIATO

Il 12 ottobre Mussolini apprese la notizia che Hitler aveva occupato i pozzi petroliferi della Romania.

Reagì a suo modo, con l’avventurismo di uno squadrista e l’incapacità di un povero caporale frustrato dai suoi superiori: “Hitler mi mette sempre di fronte al fatto compiuto. Questa volta lo ripago della stessa moneta.

Saprà dai giornali che ho occupato la Grecia, così l’equilibrio verrà ristabilito”.

Poi, la solita enfasi: “Do le dimissioni da italiano se qualcuno trova difficoltà a battersi coi greci”.

Questa volta, e la vicenda può risultare strana, trovò il consenso del genero Ciano che solitamente, anche se il destinatario del suo scetticismo erano i propri Diari, non sembrava molto ottimista sull’alleanza con la Germania e la guerra parallela.

La sola spiegazione della guerra in Grecia comunque non può essere quella dello scontro fra lo scalcinato capitalismo italiano contrapposto al potente capitalismo tedesco.

Anche se non si può negare che in quell’area vi erano concreti interessi economici divergenti fra le due nazioni.

Perché Mussolini aggredì la Grecia?

In primo luogo per ripagarsi delle prevaricazioni di Hitler, sempre vincitore, mentre il Duce aveva rubacchiato qualche conquista in Francia, per merito dei tedeschi.

In seconda istanza c’era la sopravvalutazione dell’esercito italiano da parte di Mussolini convinto dai suoi collaboratori più servili che l’impresa sarebbe stata una passeggiata.

A tal proposito occorre tener prese quello che dichiarò il generale Visconti Prasca per assicurare il Duce sulla fattibilità dell’intervento in Grecia.

Il diretto responsabile dell’operazione disse che le poche divisioni a disposizione risultavano fin troppe.

L’operazione, per il generale, era stata preparata fin nei minimi particolari. Lo spirito delle truppe era altissimo, c’era un tal entusiasmo che era difficile tenere a bada ufficiali e soldati che desideravano combat

tere.

Quando Mussolini disse di non badare troppo alle perdite il generale rispose che i suoi ordini prevedevano di attaccare sempre e comunque. Sia che fosse il problema del nichelio che interessava la famiglia Ciano, sia che fosse per il materiale ferroviario conteso ai greci, sia che fosse per mostrare indipendenza dalla Germania nazista, la campagna di Grecia non fu solo una squallida avventura dal punto di vista morale e militare.

Fu anche un grossolano errore politico da parte di Mussolini.

Il 17 agosto Ribbentrop in un colloquio con l’ambasciatore italiano in Germania Alfieri aveva ribadito i seguenti punti: bisognava mettere da parte qualsiasi progetto contro la Jugoslavia, un’eventuale azione contro la Grecia non era gradita a Berlino

Quindi Mussolini sapeva benissimo che Hitler non ne voleva sapere di aprire un fronte in Grecia che poteva mettere in discussione l’interesse dei nazisti verso i pozzi petroliferi della Romania, contesi dalla presenza dell’URSS, che aveva invaso la Bucovina del Nord e la Bessarabia. Mussolini e Hitler avevano una salda amicizia, più Hitler, sincero ammiratore del Duce, suo precursore, che Mussolini invidioso e accidioso per i successi militari del suo amico-rivale tedesco, ma non avevano un grande collaborazione sul piano politico perché Hitler diffidava della monarchia italiana, del Re, di Badoglio e della classe dirigente fascista incapaci di combattere.

E Mussolini diffidava di Hitler, perché questi non lo metteva mai al corrente dei suoi piani.

Mussolini era incantato dalla sicurezza di Hitler sul piano militare e della forza, ma lo riteneva inferiore dal punto di vista politico: la sua visione fascista del mondo, in fondo, aveva sempre trovato credito anche presso le potenze occidentali prima dello scoppio della guerra.

Con tali presupposti è facile capire perché la Grecia fu il segnale di quella rottura nell’Asse che si trascinerà fra diffidenze reciproche, fino al collasso finale dei due dittatori nazi-fascisti.

1940. LINIZIO DELLA FINE ITALIANA

Il 15 ottobre a Palazzo Venezia vennero convocare le “eccellenze” Ciano, Badoglio, Soddu, Jacomoni, Visconti Prasca.

Erano esclusi da quella riunione i capi di Stato Maggiore delle tre armi che avrebbero certamente obiettato sull’ organizzazione dell’invasione. Il preambolo di Mussolini fu come al solito un delirio di onnipotenza, unito a faciloneria militaresca.

Mussolini disse che lo scopo della riunione era quella di definire le modalità dell’azione, nel suo carattere generale, che lui aveva deciso di iniziare contro la Grecia.

L’azione in un primo tempo doveva avere obiettivi di carattere marittimo e di carattere territoriale.

Gli obiettivi di carattere territoriale dovevano portare al possesso di tutta la costa meridionale albanese e all’oc- cupazione delle isole ioniche, Zante, Cefalonia e Corfù. Quando sa- ranno raggiunti questi obiettivi, continuò il Duce, avremo migliorato le posizioni nel Mediterraneo nei confronti dell’Inghilterra.
Quella decisione voleva dire guerra lunga….

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