1940. NAZI: TOTALE ATTACCO ALLA DEMOCRAZIA

I generali tedeschi erano convinti che la guerra contro la Francia non era da farsi.

Gli Alleati erano superiori, avevano più soldati, più aerei, più risorse, erano trincerati dietro la linea Maginot.

“Ci preparavamo alla guerra in vista di una campagna in Occidente, del resto in quel momento tutt’altro che certa (…) tra di noi, cioè gli ufficiali più anziani, tutti amici per la pelle, potevo discutere apertamente della situazione (…) la prospettiva di un conflitto con l’avversario in Occidente ci rendeva perplessi dato che non nutrivamo, a causa di un istintivo antagonismo, alcuna fiducia nelle supreme gerarchie del paese, e anche perché eravamo atterriti dal ricordo della prima guerra mondiale. Nutrivamo una certa fiducia in Brauchitsch e in Halder che nessuno pensava potevano essere nazionalsocialisti”.

Sono i pensieri di Fridolin Von Senger und Etterlin, nato nel 1891, generale antinazista.

Il suo libro “La guerra in Europa, il racconto di un protagonista”, rivela quanto fossero profonde le perplessità fra gli alti ufficiali della Wehrmacht sulla possibilità di un conflitto in Occidente ai danni della Francia.

E la Francia in quella primavera del 1940 non era certamente pronta alla guerra contro il nazionalsocialismo.

Visto che si erano così affezionati alla “guerra fasulla”.

Si diceva che a Parigi di quella finta guerra ci si annoiasse, che le signore al Ritz organizzassero collette per la Croce Rossa, che lo champagne si mischiasse ai buoni sentimenti patriottici.

Sembrava che non ci fosse nulla da combattere, sembrava che Maurice Chevalier potesse primeggiare con Wagner nella colonna sonora del tempo di guerra. Churchill diede un pessimo parere sulla guerra fasulla condotta dai francesi.

Per Winston Churchill, visitando il fronte francese, si era spesso colpiti dall’atmosfera di scontrosa tranquillità che prevaleva fra gli uomini, Era evidente, la mediocrità del lavoro che veniva svolto, dalla mancanza di qualsiasi tipo di attività.

Scrivendo a Simone de Beauvoir dal fronte, pure Jean Paul Sartre nutriva seri dubbi sulla consistenza militare delle forze armate francesi.  Il filosofo al fronte sosteneva che il suo lavoro consisteva nel gettar in aria palloni e poi osservarli attraverso un binocolo da campo.

Questo passatempo veniva chiamato “eseguire osservazioni meteorologiche”.

Quando si telefonava agli ufficiali della batteria, si comunicava loro la direzione del vento.

“Che cosa poi se ne facessero di questa informazione erano fatti loro. I giovani facevano un certo uso dei rapporti del servizio segreto. La vecchia scuola li buttava direttamente nel cestino della carta poiché non si sparava”, scrisse Sartre.

C’era poi l’ombra inquietante del castello di Vincennes.

Là era morto Enrico V d’Inghilterra, entro quelle mura erano stati giu- stiziati Mata Hari e l’ultimo dei comunardi del 1871.

Erano uno dei più agghiaccianti castelli di Francia e “sembrava grondare sangue”, sostenevano alcuni detrattori della grandezza francese. Era però la residenza e il quartiere generale del generale Maurice Gamelin, capo di Stato Maggiore della Difesa nazionale, comandante su- premo di tutte le forze di terra.

Era considerato fra i più grandi generali d’Europa, se non del mondo. Aveva frequentato la scuola militare da cui era uscito nel 1891, nel 1914 aveva fatto parte dello Stato Maggiore operativo di Joffre, aveva redatto gli ordini della grande battaglia della Marna: un eroe nazionale, dunque.

Nel 1940 aveva 68 anni, ma era ancora snello, brillante, pronto alla battuta.

Aveva difficoltà a relazionarsi con la truppa, ma all’interno del castello era l’idolo dello Stato Maggiore, sempre pronto ad adularlo per la sua competenza in fatto di pittura italiana e libri d’arte.

Vincennes e il suo castello in quel periodo erano il cuore della Francia repubblicana pronta a battersi in difesa della Terza Repubblica, peccato che il castello fosse sprovvisto di comunicazioni radio.

Gamelin aveva dalla sua un’opinione pubblica che condivideva la semplicità della strategia francese.

Risparmiare la vita dei francesi per non ripetere la carneficina del 1914 – 18 e tenere lontana la guerra dal suolo di Francia.

Per cui la letargia della Francia in fondo era considerata da tutti il minore dei mali.

Non si volevano aprire gli occhi sulla lezione della Polonia, si sperava in un qualche accordo dell’ultimissimo momento.

La primavera era stupenda e a Parigi la vita mondana continuava nel suo splendore, nonostante alcune inevitabili restrizioni.

Ma il Piccolo Caporale stava preparando per la Francia la più grande catastrofe militare della sua storia.

Da quando a gennaio era caduto l’aereo in Belgio, con i piani di attacco, i tedeschi pensavano che sia inglesi che francesi ne fossero a conoscenza.

Hitler in quella circostanza dimostrò sangue freddo, intelligenza militare, ed ebbe nel destino un maledetto alleato.

L’incidente del 10 gennaio cambiò il mondo.

Considerato che l’originale piano tedesco era finito nelle mani alleate il nuovo piano venne elaborato da Erich Von Manstein, capo di Stato Maggiore del gruppo armate A di Gerd Von Rundstedt, con l’appoggio di Guderian, ispiratore e padre della Panzer-Division.

La guerra contro la Francia era il terminale dell’odio contro quelli che erano stati i vincitori della Marna e della Somme e insieme gli affamatori del popolo tedesco: ora si trattava di vendicarsi, senza dimenticare che l’odio a Hitler non bastava.

Voleva fare politica, anche se la mediazione per lui era solo tattica dissimulatoria.

Nel quadro della strategia hitleriana l’offensiva obbediva a tre obiettivi strettamente interconnessi.

  1. Mettere a terra militarmente la Francia, cercando però nello stesso tempo un accomodamento con il governo francese in modo da eliminare dalla guerra sia la flotta francese, che era fuori portata dalle armi tedesche, sia eventualmente l’impero coloniale francese
  2. Avviare tempestivamente, già nel corso della campagna militare “sondaggi” verso la Gran Bretagna per poter giungere finalmente con essa, finché durava l’impressione diretta della sconfitta della Francia, ad una “grande soluzione” su scala globale, ad un “compromesso” sulla base delle condizioni poste da Hitler, che avrebbero salvaguardato sia l’impero che la forza navale britannica
  3. Attraverso il tipo di sconfitta inflitta alla Francia e il tipo di armistizio imposto (…) attraverso il compromesso con la Gran Bretagna (…) si trattava di favorire negli Usa l’affermazione delle forze che si adoperavano per limitare l’impegno Usa al doppio continente americano, sia in politica militare, che in politica estera (…)

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