1941. OPERAZIONE TIFONE

L’operazione Tifone scattò il primo ottobre,riguardava la ripresa della strada verso Mosca.

L’operazione prevedeva la solita e collaudata tattica di un movimento a tenaglia così concepito: i mezzi corazzati di Guderian dovevano portarsi su Tula, quelli di Hermann Hoth, (terzo Panzergruppe), dovevano convergere al centro, quelli di Erich Hoepner (quarta Panzergruppe) dovevano dirigersi verso l’autostrada Smolensk-Mosca.

La decisione di riprendere la marcia su Mosca non fu comunque un isolato e unilaterale colpo di testa di Hitler, anche gli alti comandi della Wehrmacht si erano convinti di dare la spallata finale all’Armata Rossa, indebolita dalle tante sconfitte patite nei primi mesi di guerra.

Così partì l’operazione che doveva portare Hitler a Mosca.

Il 3 ottobre la Wehrmacht occupò Orël, il 6 ottobre i primi soldati tedeschi entrarono in Brjansk: anche in questo frangente per Stalin le battglie furono catastrofiche.

Il 13 e 14 ottobre in mano dei tedeschi finirono 663.000 prigionieri, 1.242 carri armati, 5.412 pezzi di artiglieria.

A Berlino, dove, dopo l’invasione dell’Unione Sovietica, si respirava un’aria pesante, la propaganda di Goebbels conferiva alle ultime vitto- rie naziste un’aura di vittoria finale.

L’8 ottobre, dopo i preludi di Listz e qualche nota di “Die Wacht am Rhein” (canzone patriottica tedesca), dopo un silenzio angoscioso, l’annunciatore quasi recitò una preghiera solenne alle nuove vittorie del Führer: “Popolo tedesco, le armate del Reich hanno riportato una vittoria finale che conclude le battaglie decisive scatenate sul fronte dell’Est. Due armate e due divisioni rosse accerchiate nelle sacche di Brjansk e Vjaz’ma stanno per essere annientate”.

Nella Prussia Orientale, al quartier generale, Hitler esultò: “l’Orso russo è morto (…) per me i russi non esistono più”.

L’euforia tedesca fu inarrestabile.

Goebbels convocò in Wilhelmstrasse gli ambasciatori dei paesi satelliti: “Come potenza militare, disse, la Russia ha definitivamente cessato di esistere”.

Hitler e i suoi generali, però, non avevano fatto i conti con la “compagna Rasputitza”, la fanghiglia che era comparsa sulle strade dopo le prime abbondanti piogge di autunno.

“Avremmo dovuto fermarci sul Dnepr, dopo la conquista di Kiev, disse il generale Rundstedt. Io mi battei energicamente perché si facesse così e il Feldmaresciallo Von Brauchitsch era d’accordo con me.

Ma Hitler, reso euforico dalla vittoria di Kiev, adesso decideva di continuare l’avanzata ed era sicuro di poter conquistare Mosca”.

Cfr. Liddell Hart, Storia di una sconfitta, op. cit. pag. 319

Mentre puntava alla vittoria finale su Mosca, Hitler, però non rinunciò a puntare verso il Caucaso le il Mar Nero; fu un errore di valutazione non secondario avanzare oltre il fiume Dnepr verso Stalingrado.

Freddo, fango, spazi immensi, il Generale inverno, ancora una volta, venne in aiuto ai patrioti di Santa Madre Russia.

“Su un terreno per lo più fittamente coperto di boschi, con temperature insolitamente basse che sono di ostacolo per gli uomini e i mezzi e con truppe che fin dall’inizio delle operazioni sono state sottoposte quasi di continuo a marce e combattimenti e quindi si trovano in stato di prostrazione fisica… siamo riusciti solo a fatica a organizzare azioni di at- tacco (…)

Il freddo polare – fino a 36 gradi sottozero – paralizza però molto spesso i motori e non si può evitare che una parte dei veicoli e delle bocche di fuoco restino indietro (…)”.Cfr. Enzo Biagi, La seconda guerra mondiale

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