Già Foucault e i nuovi filosofi parigini nel 1977 scrivevano che l’età delle rivoluzioni era finita.
Non era una provocazione.
Per tutta la sinistra,dal PCI ai gruppi della sinistra radicale e militante, la constatazione che il Sol dell’Avvenire era tramontato definitivamente era dibattito all’ordine del giorno.
La Fenomenologia della rivoluzione ricorreva da tempo la mitologia per seppellire la disillusione del socialismo reale, dell’ Urss, del partito unico del marxismo leninismo.
Non fu proprio Enrico Berlinguer a dire che la fase propulsiva della rivoluzione d’ottobre era finita?
Rimaneva intatto il mito del Che, come oggi ,ma le esperienze di Cina ,Vietnam, Cambogia, ad esempio, erano giudicate fallimentari visto che quei comunismi si massacravano fra loro.
Così dopo gli anni settanta il concetto di rivoluzione passo’all’idea di una trasformazione permanente di se stessi.
Non nel segno dell’accettazione dell’esistente, ma di una confessione pubblica dei limiti di una rivoluzione politica che di fatto cambiava solo la classe dirigente, lasciando i rapporti inter personali al conflitto uomo- donna-, cultura – ambiente, personale -politico.
Ogni rivoluzione sottintende la creazione di un genere umano nuovo ,dove le vecchie alienazioni siano pian piano modificate in senso propositivo.
Sperare di trovare soluzioni già pronte in un catalogo delle rivoluzioni socialiste può essere ancora praticato,a patto che i modelli di riferimento non siano verità inalienabili.
Nel regno dell’imperfezione la rivoluzione perfetta non esiste,ma il cambiamento di se stessi può mantenere inalterata la corsa verso il bene.
Il cambiamento di se stessi, comunque, non può avvenire solo nella risoluzione del privato, nella coerenza appagante del “mangio biologico, vivo nella natura, uso la barca a vela, ho smesso di fumare”..
Do you remember Nanni Moretti in Ecce Bombo?
In questo caso si cambia il consumo di se stessi, non il senso della rivoluzione che vuol dire accettare la alienazione profana del mondo materiale, anche dal punto di vista delle imperfezioni delle moltitudini.
Il meglio è fuori catalogo, perché pensare alle masse proletarie come foriere di intrinseche libertà è romantico, ma non sempre vero.
La coscienza di classe di cui parlava Marx non era un’idea astratta.

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