Ad ogni morte sul lavoro,ad ogni ponte che cade,ad ogni incuria umana,ad ogni negligenza criminale due sono le frasi dell’opinione pubblica che accompagnano sgomento e dolore:”non si può morire così e “non deve più succedere”.
Sono affermazioni rituali che non hanno nessuna valenza accettabile sul piano logico e che lasciano ai parenti delle vittime la speranza che nel regno degli uomini venga fatta giustizia.
Ogni liturgia ha le sue parole, la “fatalità colpevole” è un ossimoro, l’omicidio colposo ci consegna la sicurezza che qualcosa si può fare, che si deve trovare la causa: è un atto dovuto a chi soffre.
La scienza, però, ci spiega come si muore,non perchè si muore in un dato momento.
Chi prova il dolore della perdita dei propri cari, in qualsiasi occasione apparentemente accidentale,reclama giustamente la devastante lotta per la verità terrena,
Chi invece enfatizza sui media o su Fb “il non si può morire così” e il” non deve succedere più”sa che bisogna toccare il cuore dei lettori.
Sa molto di esercizio giusto e doveroso della pietà da parte terza, unito, però,alla sottile consolazione di non essere stati fra le vittime delle tragedia da parte dei lettori.
Le morti sul lavoro, le morti accidentali in incidenti stradali, le morti in genere per futili motivi che riguardano i più giovani, sono pugni nello stomaco, vetriolo sull’anima, schegge di paura tremende che richiamano che la morte fa parte della vita.
Non certo lo spettacolo della morte che fa tanto audience sui media può consolarci nella sua crudeltà, quelle immagini portano all’ assuefazione della morte.
Le storie dei bambini morti sulle spiagge della Libia, ad esempio, quelli della funivia del Mottarone, quelli ammazzati nei raid contro Gaza, quelli maciullati di sfruttamento e guerre in ogni parte del mondo, sono lì,parlano da sole, non hanno bisogno di commenti.
Non c’è un modo di morire se si è bambini.
Nè prima nè ora, nè mai.

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