Il brano è tratto da 1939 – 1945 Il racconto della guerra giusta, la vittoria della democrazia vol II di Pierluigi Raccagni

“Malgrado tutto, questo alberello, portava con sé una tale magia natalizia, una tale aria di casa che all’inizio non riuscivo a sopportare la vista delle candele accese. Ero veramente commosso, al punto che sono letteralmente crollato e mi sono dovuto voltare per un minuto prima di tornare a sedere con gli altri e intonare canti natalizi davanti alla meravigliosa immagine di quell’albero illuminato”.

Cfr Richard Evans.Il Terzo Reich in guerra, Milano2014, pag.382

La canzone perfetta dei soldati tedeschi assediati nel kassel era naturalmente Stille Nacht, hilige nacht.

Ufficiali e soldati della Wehrmacht erano veramente commossi quando pensavano a casa, quando la compassione e la tenerezza, che certo non era stata cosa loro nell’Operazione Barbarossa, li faceva sentire uomini piccoli, felici per piccole cose.

A tener compagnia agli ex superuomini, mandati in Russia a sterminare i sottouomini slavi, ora c’ era l’esercito dei pidocchi che non li faceva dormire. Le sparate di Göring e dei suoi rifornimenti contrastavano con la situazione reale: spossatezza, freddo, stress, gelo e 500 calorie al giorno che il loro corpo assorbiva in minima parte.

Una grande armata tedesca era accerchiata per la prima volta dal 1939, la morte per inedia era all’ordine del giorno. Sotto l’alberello erano rimasti i deliri di Hitler e Goebbels.

Nei circoli governativi di Berlino l’atmosfera natalizia non poteva di certo essere festosa; i tedeschi si rendevano conto, nonostante la censura e la propaganda, che a Stalingrado si stava per compiere una tragedia destinata a cambiare il corso della storia.

Soprattutto da Berlino a Stalingrado vi era una sensazione comune e angosciante: quella dei trionfi di un recente passato che erano scomparsi come neve al sole.

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Sembrava infatti trascorso un secolo dal giugno del 1942, quando la Wehrmacht era a 150 chilometri da Alessandria d’Egitto con alla testa Rommel, i sommergibili tedeschi facevano a pezzi le navi alleate nell’Atlantico con una cadenza di 700.000 mila tonnellate al mese, la vittoria sembrava a portata di mano: l’Asse in quel periodo era al culmine della sua potenza.

Sul fronte orientale, i comandi tedeschi annunciavano che la caduta di Stalingrado era imminente.

Non bastava, però, il pensiero del Natale a consolare i soldati tedeschi e le loro famiglie a casa.

Grande solidarietà fra camerati, grande umanità fra tedeschi, si direbbe. Ai prigionieri russi dei due campi all’interno del kessel, però, non veniva concesso neanche un pezzo di pane secco: cibo non ce n’era più , né per i vincitori prigionieri, né per i vinti ancora combattenti sotto la croce uncinata; quegli “eroi di Stalingrado” di cui si parlava a Berlino come fossero già morti.

La “wasserzuppe”, (acqua calda con qualche pezzo di cavallo bollito), poteva bastare per reggersi in piedi, ma non per combattere.

D’altronde bastava leggere le lettere che i soldati spedivano a casa per rendersi conto della situazione: il 57% dei combattenti non credeva più alla vittoria, il 33% era indifferente verso il regime, il rimanente era ostile.

Stalin, intanto, stava preparando la spallata finale, mentre Hitler, sempre più convinto di sacrificare l’intera 6a Armata per non causare un disastro anche alle truppe del Caucaso, cercava in tutti i modi di fare quello che era possibile per aiutare gli assediati, o meglio, per salvare la faccia al regime.

Nonostante le attenzioni di Hitler verso la 6a Armata di Paulus, le sorti della battaglia in quella notte di Natale sembravano comunque segnate.

La guerra ideologica contro il bolscevismo, che aveva portato molti ufficiali della Wehrmacht a collaborare allo sterminio intrapreso in Russia da SS e corpi speciali, stava esaurendosi proprio a Stalingrado, un obiettivo considerato all’inizio da Hitler assolutamente secondario.

Quindi la mazzata per i nazisti era duplice: non solo avevano fallito il piano dello spazio vitale, non solo rischiavano di perdere una battaglia cruciale nella strategia nazista, ma proprio i nazisti avevano costretto la popolazione anticomunista a difendere Stalin e a fare di Stalin l’eroe dell’Unione Sovietica.

Di questo, tutti ne erano consapevoli. Soprattutto negli alti comandi della Wehrmacht che mai come in quella occasione si rendevano conto di essere finiti in un baratro senza fine.

E sì che non ci voleva un mago per capire in quale disastro si erano avventurate le truppe di Hitler:

“Se il comando supremo dell’esercito non re vocherà l’ordine di resistere nella posizione a riccio, ne scaturirà davanti alla nostra coscienza, nei confronti dell’esercito e del popolo tedesco, il dovere imperativo di riprendersi la libertà d’azione che ci è finora stata sottratta (…).

(…) E’in gioco l’annientamento di 200 mila combattenti e di tutto il loro equipaggiamento”.

Dal memoriale di Seydlitz,25 novembre 1942

Cfr. Guido Knopp, Wehrmacht, Milano 2010, pag 132

Il generale Walter von Seydlitz, che fu preso prigioniero dai sovietici e fondò in prigionia l’Unione degli Ufficiali Tedeschi al fine di provocare la caduta di Hitler, un mese prima aveva previsto ciò che ora era scontato.

Paulus, che era d’accordo con lui e invano aveva chiesto al Fṻhrer libertà d’azione, cioè la possibilità di abbandonare Stalingrado, alla fine cercò di ubbidire a Hitler e di salvare la 6a Armata: le due cose però furono inconciliabili.

Il programma di Hitler era così esplicito che i nazisti più fedeli non avevano vergogna a dichiararlo apertamente, soprattutto gli ufficiali: la presenza a Stalingrado dell’Armata tedesca era un servizio reso alla patria e al Fṻhrer, chi la pensava al contrario era un disfattista e un traditore.

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“quando il 24 dicembre Emerenko sconfisse Manstein ogni singolo comandante tedesco ebbe chiaro che non si poteva resistere. Un solo uomo, uno solo non lo capì. E quell’uomo ribattezzò la 6a Armata “avamposto” di un fronte che si estendeva dal Mar Bianco al Derek. E la 6a Armata divenne la “Fortezza Stalingrado.Per lo Stato Maggiore della VI, invece, Stalingrado era un campo di concentramento per prigionieri di guerra armati”. Cfr. V. Grossman, op.cit. pag. 683

Sempre Grossman sulla Stella Rossa a fine dicembre scriveva:

“Quei tedeschi che, a settembre, facevano irruzione nelle case al suono delle armoniche a bocca e che guidavano di notte a fari accesi e che, in pieno giorno, caricavano i proiettili sugli autotreni, quei tedeschi se ne stanno ora nascosti fra le rovine. Non c’è più il sole per loro. Sono razionati in ragione di venticinque o trenta colpi al giorno e devono sparare solo quando attaccati. La razione di viveri è di 150 grammi di pane e d’un pezzetto di carne di cavallo. Là, simili a selvaggi e ricoperti di lana stanno seduti nelle loro grotte di pietra, rosicchiando un osso di cavallo (…).

Giornate e notti tremende sono arrivate per loro. Qui nelle oscure fredde rovine della città che distrussero, essi andranno incontro alla vendetta: la troveranno sotto le stelle crudeli della notte invernale russa”.

Cfr. Alexander Werth, La Russia in guerra,1941 -1945, op.cit. pag. 526

Mentre i feriti non potevano essere evacuati perché non c’erano mezzi per trasportarli, mentre la mancanza di speranza rendeva gli uomini degli automi che obbedivano agli ordini per autoconservazione della specie, Hitler continuava a respingere tutte le richieste di Paulus di sganciarsi dalla sacca di Stalingrado.

Quei soldati, ridotti a scheletri, che vagavano in una città spettrale sotto l’incessante fuoco dell’artiglieria russa, tenevano occupati migliaia di sovietici che avrebbero potuto attaccare su altri fronti.

Il morale dell’Armata Rossa, invece, era alle stelle………………..( ………….)

Dal 19 novembre al 12 dicembre i tedeschi avevano perduto 175.000 soldati ed ufficiali, 137.000 furono fatti prigionieri.1.249 apparecchi erano stati abbattuti, 1.187 carri armati distrutti; 1.450 cannoni, 755 mortai, 2.708 mitragliatrici distrutti.

Hitler considerava quel macello “utile” per la causa finale.

Il 1943 sarebbe stato peggio………..continua

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