Brano tratto da 1939 – 1945 il racconto della guerra giusta, e dall’ebook la guerra dei caporali nazifascisti di Pierluigi Raccagni

1940. MORIRE SULLE ALPI

Il primo contatto con la guerra fu anche il primo contatto con la totale mancanza di preparazione alla guerra.

Mancanza assoluta di un’artiglieria moderna (i pezzi d’artiglieria erano dell’altra guerra).

Gravi deficienze nel rifornimento delle munizioni. Mancanza di pezzi di grosso calibro.

Mancanza di mezzi di trasporto per le truppe e delle ambulanze per i feriti.

Mancanza totale di vestiario per i soldati che nel giro di poche ore con- gelarono sulle Alpi francesi; erano vestiti come fossero pronti per una battaglia in pianura o in riva al mare.

Per cui l’avanzata italiana in terra francese fu miserevole.

Le truppe italiane che puntavano su Nizza furono fermate a Mentone, l’offensiva sulle Alpi si rivelò catastrofica, come abbiamo accennato in precedenza.

Lo stesso Starace, segretario del PNF, di ritorno dal fronte alpino disse che l’attacco alle Alpi aveva documentato la totale impreparazione dell’esercito, l’assoluta mancanza di mezzi offensivi, l’insufficienza completa nei comandi.

Secondo Starace si erano mandati gli uomini incontro ad una inutile morte due giorni prima dell’armistizio: ma le lacrime di coccodrillo di Starace urtavano contro il volere del Duce che esigeva qualche centi- naio di morti per sedersi al tavolo della pace.

“Il comando militare sa che solo un terzo dei soldati è pronto a combattere ai primi di giugno e piange sull’addestramento, sui mezzi ma c’è qualcosa d’altro e di più grave: dal 1935 il paese vive in uno stato continuo di tensione, di eccitazione che può aver creato nella piccola borghesia in cerca di posti una certa attesa del nuovo, una certa liberazione dal mediocre tran tran quotidiano, ma che ha diffuso fra i ceti popolari una stanchezza mortale. Operai e contadini si sono resi conto che l’imperialismo non paga, nel senso che a ogni conquista territoriale, a ogni vittoria è seguito in patria un inasprimento delle condizioni di vita, nel migliore dei casi una stagnazione (…) C’è stato per anni uno sforzo suppletivo che nessuno ha calcolato in moneta e misurato in orario, ma la gente ne è stremata, la voglia di combattere, posto che l’abbia mai avuta, se ne è andata con le pene di ogni giorno”

Cfr. Giorgio Bocca, Storia d’Italia nella guerra fascista, op. cit. pag. 148

Poca voglia di combattere, dunque, da parte di un esercito di “otto milioni di baionette” che non hanno nemmeno le divise invernali per reggere il freddo delle Alpi occidentali nel mese di giugno.

Eppure Benito Mussolini, convinto di fare una guerra per finta, si butta in una disarmante strategia di ordini e contrordini tale da portare in modo criminale i soldati italiani a morire per nulla.

Ogni giorno cambiava idea su dove attaccare e come attaccare: voleva cambiare lo schieramento difensivo in quello offensivo in tre giorni. Stizzito dal bombardamento di Genova dopo la dichiarazione di guerra, ordinò un’offensiva generale a Badoglio, ma la guerra vera iniziò solo due giorni prima dell’armistizio.

Così, mentre la Francia stava collassando, i successi italiani furono dav- vero miseri, nonostante la propaganda interna facesse di tutto per far risaltare le splendide vittorie mai avvenute.

Questa contraddizione fra una guerra che non si voleva combattere e l’ambizione mussoliniana di insegnare agli italiani l’arte della guerra, portò un senso di angoscia e frustrazione prima di tutto fra i gerarchi fascisti e i ministri del regime.

Al Piccolo S. Bernardo saltarono sulle mine anticarro francesi i piccoli carri armati della divisione Trieste, sul Moncenisio ci fu una piccola avanzata combattendo casa per casa, parziali successi furono ottenuti nella zona del colle Maddalena e nella valle Roja si arrese il forte delle Traversette.

Lungo la costa, come abbiamo accennato, l’offensiva si fermò a Men- tone.

La frontiera francese era stata valicata, ma il sistema offensivo del ne- mico aveva tenuto, nonostante Mussolini avesse esortato le nostre truppe a “incalzare il nemico”

Una foto testimonia quello che accadde nella breve battaglia contro la Francia.

Davanti al semplice monumento di un piccolo villaggio alpino occupato dalle truppe italiane, si vede un soldato italiano rendere omaggio ai caduti francesi deponendo dei fiori ai piedi della statua.

Anche se Mussolini e qualche gerarca in attesa di facili promozioni in- citavano alla guerra, non vi era la minima animosità nell’esercito che invasa la Francia, doveva mettere pure in soggezione Inghilterra e Ger- mania!

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