Non occorre essere  operaisti nostalgici e rivendicare che la classe operaia deve dirigere tutto.

Nel caso dell’ ex Ilva ex Italsider,complicatissimo dal punto di vista legislativo e burocratico – amministrativo, solo gli operai hanno comunque ragione senza se e senza ma.

La questione giuridica della difesa ambientale, infatti, è una delle scuse per la multinazionale franco – indiana di ritirarsi da un investimento che non è più competitivo sui mercati internazionali.

Questo, d’altronde, lo sanno tutte le forze politiche e pure il governo che sta trattando in queste ore sul piano industriale con una proprietà che rivuole lo scudo penale come pre -condizione per continuare il negoziato.

Il ricatto dell’Arcelor Mittal, che intende ritirarsi dall’accordo per acquisire le acciaierie di Taranto con la conseguente perdita di 10.700 posti di lavoro, è storia di adesso.

Ma la vicenda è lunga come la lotta di classe fra capitale e lavoro.

Se la causa scatenante la crisi  è quella del disastro ambientale, questo non vuol dire che in questi anni gli operai e i cittadini di Taranto del quartiere Tamburi non abbiano pagato a colpi di chemio l’impatto delle sostanze cancerogene della fabbrica sulla città.

La domanda che ci si pone è se nel terzo millennio sia possibile coniugare  una strategia industriale decente che salvaguardi la salute dei cittadini e i posti di lavoro degli operai, che si ammalano due volte, sia come operai che come cittadini.

In questi anni la tragica visione in piazza delle madri dei bambini ammalati o morti di cancro,  forse doveva smuovere le coscienze ambientaliste prima di Greta Thunberg.

L’ alienazione da lavoro capitalistico, ineliminabile anche con il socialismo reale, ( Cina  e insegna), dovrebbe essere affrontata, si diceva una volta,  in un solo modo: salario garantito agli operai, nessuna monetizzazione dello sfruttamento per chi si è ammalato sul posto di lavoro, risarcimento immediato, bonifica tutelata dallo stato.

Ma quelli erano gli anni settanta, quelli del rifiuto del lavoro alienante per un’utopia non rimandabile.

Oppure per una ribellione degli sfruttati  antica come il mondo.

Si dice che gli operai dell’ex Italsider siano più rassegnati che arrabbiati: non  serve dare la colpa ai 5 stelle, alla Lega, al Pd, alla Regione o ai Riva,  i precedenti padroni che hanno fatto quattrini portando soldi in Svizzera.

Finchè la barca va le morti sul lavoro sono solo danni collaterali, come dicono i mafiosi e i loro padroni.

Ma è da quando è nata la fabbrica che a Taranto non si respira aria pulita.

La più grande fabbrica d’acciaio d’Europa, che vale il 1,4% del Pil, non può  andare in  malora:  all’autonomia operaia dei bisogni primari si contrappone la ragione del modello di sviluppo capitalistico neo liberista considerato un modello creato da madre natura.

Il  diritto a vivere il lavoro non solo come maledizione biblica che porta il cancro, non è più di questo mondo.Il migliore dei mondi possibili dopo la caduta del Muro.

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