Ci sono 600 bambini nati con malformazioni a Taranto per via delle poveri sottili dell’ex Ilva, la più importante fabbrica  siderurgica d’Europa anche per disastro ambientale.

Morti di cancro, bambini ammalati e in chemioterapia da anni, poveri disgraziati, ( in senso buono), che si guadagnano da vivere vendendo forza lavoro al miglior offerente sono parte lesa e hanno mille ragioni per evitare di ammalarsi nel nome del capitalismo italiano.

Ci sono di mezzo tutti: i nuovi padroni dell’ArcolMittal indiana, dopo aver annunciato la cassa integrazione per 1.400 operai per mancanza di commesse, hanno ribadito che comunque, se non sarà riproposta l’immunità per disastro ambientale, saranno costretti a chiudere bottega il 6 settembre.

Una situazione ” normale” per la siderurgia, se si pensa alle condizioni di lavoro in paesi extraeuropei dove la mattanza di lavoratori è fisiologica  al profitto.

In Occidente, patria della liberal democrazia, dovrebbe essere diverso.

La sparata dei cinque stelle di tramutare l’area ex Ilva in un giardino da ecologismo hippie è appunto una sparata, ma almeno ha posto il problema della compatibilità fra salute e profitto nell’immediato.

Cosa sulla quale tutti i partiti hanno fallito: soprattutto la sinistra sulla questione deve solo fare mea culpa.

( Quando alcuni esponenti della sinistra  istituzionale si presentarono ai cancelli dell’Ilva ex Italsider gli operai li mandarono a quel paese).

Qualsiasi decisione prenderanno gli operai dell’ex Ilva e le loro famiglie, che sulla pelle vivono la  dialettica capitale – forza lavoro, sarà la battaglia dei comitati e sindacati di base, associazioni ambientaliste e centri sociali, gli unici oggi a fare vera opposizione al disastro immanente della via italiana al capitalismo dal volto umano.

Di Maio quale ministro dello Sviluppo abbracciò la madre di un bimbo morto di cancro per le polveri sottili,promettendo di intraprendere la soluzione del problema.

E’ auspicabile che anche in questo caso non vinca solo il Pil, tanto caro all’Europa, all’Italia, e a chi non piange i propri morti sul lavoro.

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