Con la crisi occupazionale, soprattutto in Italia, con il lavoro sottopagato, sopratutto in Italia, con lo sfruttamento bestiale dei migranti, soprattutto in Italia, il primo maggio è una festa importante, ma azzoppata dal trionfo del capitalismo tout – court.

Intanto è tabù parlare di ” proletariato”: per cui schiavi a due euro all’ora a raccogliere pomodori è uguale a manager tagliati dalla crisi.

Niente da paragonare alla storia del primo maggio di origine anarchico e socialista, quello della lotta di centinaia di milioni di proletari per la loro emancipazione iniziata fin dalla fine dell’Ottocento.

Non si vuole sminuire una giornata come quella di domani  che una volta inverava il  ” proletari di tutto il mondo unitevi”, ma la sola  retorica in questi casi significa ingoiare lacrime amare di feroce delusione.

Intanto, per dirla alla Salvini,è un’altra festa di parte, cioè partigiana.

Il primo maggio fu abolito dal fascismo nel 1923, sostituito dal Natale di Roma del 21 aprile.

Nel Terzo Reich la festa fu abolita nel 1934, al suo posto la giornata del popolo tedesco.

Insomma i nazi – fascisti, sempre dalla parte dei lavoratori, tenevano così tanto alla loro emancipazione da abolire la festa della  lotta che portò alla richiesta delle otto ore lavorative.

Per cui se i neofascisti non parteciperanno ai cortei  faranno solo un piacere a chi crede ancora ad una solidarietà internazionale fra lavoratori.

Il nazionalismo corporativo e l’internazionalismo proletario sono antitetici come fascismo e antifascismo, lo sanno anche i sassi, ma non i rossobruni di casa nostra.

Ma, è ormai risaputo, i lavoratori devono anche salvare il capitalismo da se stesso, devono trovare una via d’uscita al prolungamento schiavistico della giornata di lavoro, devono pensare con le loro lotte a ridistribuire la ricchezza anche a chi è disoccupato cronico.

Troppe cose da fare per chi tira a campare con 1.000 euro al mese.

Per cui la pace sociale e il concertone del primo maggio sono quello che ci rimane della storia del movimento operaio.

Il rifiuto del lavoro è atteggiamento da scansafatiche, da parassita, un lavoro qualsiasi è da falliti, un lavoro di qualità è quasi impossibile.

Forse bisogna lavorare per la ribellione, da domani mattina, come direbbe l’indefesso lavoratore del Viminale.

 

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