E’ parecchi giorni che telegiornali e network mettono fra le notizie di politica estera quello che sta succedendo ad Afrin, enclave curda in Siria, riconquistata dalle milizie ribelli siriane e da Erdogan,che così ricompatta il senso del colpo di stato interno andando incontro all’opinione pubblica nazionalista.
I curdi, quando erano in prima fila contro l’Isis, erano diventati i salvatori della democrazia contro la ferocia degli islamo fascisti, oggi sono ridiventati carne da macello da sacrificare alla geopolitica mediorientale.
In Europa una volta che non ci sono attentati terroristi la questione non interessa a nessuno, se non alle organizzazioni umanitarie e ai comitati che si occupano delle carneficine del mondo.
250.000 civili,con pochi mezzi di sussistenza, sono in balia della razzia delle milizie siriane ribelli fra l’indifferenza dell’Occidente.
Gli Stati uniti hanno tentato di mediare con Erdogan spiegando al novello zar ( un altro) turco che i curdi possono tornare utili nel momento che ci sarà da arginare una nuova offensiva islamica.
La risposta del governo turco è molto chiara: i curdi possono essere un’Armata estemporanea dotata con vecchi fucili da controllare coi droni filo russi e americani,ma non un popolo, non una etnia che ha diritto alla terra e alla sua sopravvivenza.
L’operazione ” Ramoscello d’ulivo” così si chiama l’offensiva turca, ora sembra avere come obiettivo Kobane.
Non bisognerebbe scordare mai il rapporto fra i migranti delle guerre e la trasmigrazione vetero – testamentaria in Europa.
Recep Erdogan minacciò la Ue che se non avesse pagato il bonus di tre miliardi per i rifugiati in Turchia, avrebbe aperto le porte dei resort modello” concentrazionario” verso l’Europa.
La Merkel ha dichiarato che la presenza dei turchi in quei territori non è accettabile.
Il resto delle cancellerie europee si gira dall’altra parte: la pace va bene solo nell’Occidente qualificato a consumare, se no la guerra alle porte è business per tutti.
Non è però sempre colpa del famigerato interesse capitalistico dell’Occidente la guerra contro i curdi.
Il secondo esercito della Nato, quello turco, risponde a interessi nazionalisti che anche la Russia condivide e l’America non disdegna.
Quello di creare uno stato confederato democratico nella zona di Rojava, al confine turco, da parte di curdi e siriani è in conflitto con troppi interessi.
Più che una guerra per Stati è una guerra per bande nazionaliste che orinano sul terreno come cani, per rivendicare il proprio osso da spolpare.
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