A New York torna il terrore dell’Isis in franchising, con otto morti travolti da un uzbeco di 29 anni. con camioncino stile Londra, Berlino, Barcellona etc che piomba sui passanti al grido di Allah è grande.
Ha ragione chi dice che l’Isis ha perso la guerra e ora tenta di sopravvivere in qualche modo, tentando di mettere il cartello ad ogni lupo solitario anti – Occidentale..
Non è l’11 settembre, questo lo dicono i media assetati di sangue, che inframezzano le stragi a spot sulle mutande che fanno tendenza.
Gli Usa, con lo scandalo Russiagate, i missili di Kim e di Trump e il terrorismo non rischiano la crisi internazionale: sono solo un gendarme con troppe gatte da pelare rapiti dal vento di un nazionalismo patetico e fuori registro.
Se a New York si piange, a Barcellona ci si interroga sul futuro.
Carles Puigdemont, sedizioso e ribelle secondo l’incriminazione del Tribunale di Madrid, che rischia 30 anni di galera per aver proclamato l’indipendenza della Catalogna, per ora resta in Belgio, a Bruxelles, per cercare di coinvolgere l’Europa nella questione catalana e per non andare in galera domani.
Mossa astuta per alcuni, fuga vile per altri, che vedono in Puigdemont quello che ha gettato la Catalogna nel caos come un avventuriero sprovveduto.
In questo caso l’ardua sentenza non viene delegata ai posteri: il 21 dicembre ci saranno le elezioni indette da Madrid per il governo della regione spagnola.
Se gli indipendentisti vinceranno, potranno continuare a trattare con Madrid, se perderanno moriranno definitivamente nel nulla politico.
Il coordinatore federale di Izquierda Unida,Alberto Garzon,settimana scorsa ha dichiarato che”è’incoerente essere indipendentista e comunista”, e lui sceglie la seconda opzione.
La nuova Catalogna, che difende l’indipendenza dichiarata unilateralmente, con spirito pacifico e gandhiano ( è davvero un bene per tutti, ma non può fare altro ),resiste e cerca di riorganizzarsi per il voto di dicembre che di fatto, però, riconosce la Spagna come stato sovrano.
Javier Cercas, saggista e scrittore, nonchè giornalista de “El Pais”, ha affermato che gli indipendentisti volevano creare un caso Kosovo.
Ma poi quando hanno visto 1500 aziende andarsene, hanno visto la partecipazione massiccia dei catalani unionisti alle manifestazioni contro la secessione, hanno scelto di andarsene in Belgio da una delle più antiche dinastie europee.
Intanto la Lady di ferro spagnola, la signora Saenz de Santamaria, vicepresidente, è stata nominata dal governo Rajoy, titolare della Generalitat catalana.
I ministri di Madrid sono diventati assessori della regione, e non basta che il Girona abbia battuto il Real Madrid, per cantare vittoria da parte catalana.
Quello della Catalogna per ora è un nazionalismo repubblicano, anti-borbonico, solo questo è il segno distintivo della “rivoluzione” del primo ottobre.
In Catalogna la sanità, l’istruzione, la polizia, erano garantiti dall’autonomia, nelle scuole si parla catalano, nelle Università pure, non c’è repressione sulla sua identità.
Osservatori politici anche catalani parlano di rivoluzione post moderna e mediatica con tutte le bandiere al posto giusto, come se giocasse il Barcellona al Camp Nou.
Però le elezioni del 21 dicembre indette da Rajoy mettono gli indipendentisti in imbarazzo: se non accade nulla di eclatante Babbo Natale riporterà indietro l’indipendenza, al vorrei ma non posso.
Auspicare una revisione della Costituzione in termini federalisti chiuderebbe la questione. Vedremo.ò
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