“Avanti e indree che bel divertimento” diceva mia nonna.

Se cercava  qualcosa, qualche via, qualche strada, ad esempio, e dopo tanto girovagare, si ritrovava al punto di partenza.

Ciò riecheggia nel titolo del libro di Matteo Renzi, “Avanti, l’Italia che non si ferma”, che non solo è quinto in classifica, ma che è stato citato ampiamente nell’attuale dibattito politico, anche se chi lo cita forse non lo ha letto.

Io non l’ho letto.

Come tanti ho letto degli stralci sui quotidiani e blog.

Che non sia il Capitale o Stato e rivoluzione non è un  mistero, pure D’Alema, Bertinotti, Veltroni non hanno scritto niente di fondativo per la storia della sinistra.

Il blairismo opaco di una liberaldemocrazia di massa non suscita molti entusiasmi.

Ma non per motivi ideologici, per motivi pratici.

Da punto di vista sociale l’adesione al nuovo modello di sviluppo del Jobs act, dell’abolizione dell’art.18, dei bassi salari, della tassazione sul lavoro, non poteva accontentare quello che si continua a chiamare il popolo della sinistra.

Ma pure degli operai che votano Lega o Cinquestelle.

Su una cosa però Renzi ha ragione.

Chi è uscito dal Pd, scrive Matteo, non lo fatto perchè si perdevano posti di lavoro con il Jobs Act, ma i posti in Parlamento con la riforma costituzionale.

Con le liste bloccate” i sinistri in fuga” avrebbero perso il loro seggio, ridimensionati dall’inconsistenza dei loro programma politico, simile a quello di Renzi, fino a quando la diligenza andava forte verso la vittoria.

Col il 4 dicembre la diligenza ha perso la corsa, e come è naturale nella vita politica, sì è fatto presto a far pagare a Renzi, che d’altronde se lo è meritato,il conto del fallimento.

E’ una magra consolazione per Renzi, ma è anche una misera prova di forza per una sinistra scandalizzata perchè Pisapia abbraccia la Boschi, come fossimo in presenza dell’accordo Motov – Von Ribentrop del 1939.

Miseria chiama miseria, abisso invoca l’abisso, “avanti e indree” in questo caso non è un divertimento.