A Taormina i grandi della terra ( Stati Uniti,Canada,Giappone,Gran Bretagna, Francia, Germania e Italia, ( grande Francesco Totti), hanno discusso sul futuro della terra.

Come sanno anche i sassi, questi incontri servono poco, se non a ratificare che l’ordine economico mondiale  è monopolizzato dal libero mercato con qualche aggiustatina.

L’inutilità delle belle parole, delle promesse, delle prese di posizione, finite la sera stessa del vertice, fanno del grande summit un rito stanco e vuoto.

La presenza di Junker per la UE, insieme ai ministri dell’economia dei sette paesi che producono il 63% della ricchezza globale, dovrebbe, sulla carta, garantire che si metta al primo posto, oltre al tema della sicurezza e della difesa dal terrorismo, anche il problema più vicino all’Europa: il flusso dei migranti.

Le news ci dicono che Trump abbia imposto la linea della tutela degli stati nazionali, che le varie first ladies siano state abbagliate dal made in Italy di Naxos, dell’Etna, del menu alla siciliana.

Mancava ” o sole mio”, la colonna sonora del Padrino, una mandolinata e poi il quadro era completo.

Al G8 di Genova, sedici anni fa, mentre gli otto grandi ( c’era anche la Russia oggi espulsa e in lista d’attesa per via della vicenda Ucraina), discettavano di fame nel mondo fuori vi fu il massacro epocale del movimento no global.

Oggi il massacro dei migranti c’è quasi tutti i giorni, i massacri dell’isis continuano in Egitto, la guerra continua in Libia…

Con la bella stagione le coste italiane saranno invase.

Quello che si può fare per tentare di affrontare, come si diceva una volta, le contraddizioni principali delle democrazie occidentali, (democrazia  giustizia sociale, diritti) a ogni G7 si ferma, ovviamente, agli interessi dei singoli stati, dei singoli sistemi capitalisti, delle singole economie globalizzate nei profitti, non certo nell’occupazione e nei salari.

Quella per cui a Milano hanno sfilato 100,000 persone, quella per cui è un dovere civile battersi è la questione del lavoro.

Sul clima e sul commercio, infatti, prevalgono le solite divisioni che fanno del G7 un gioco dell’oca dove si torna sempre al punto di partenza.

Il proletariato che giunge dal Nord Africa, ma anche da tutti i continenti, compensa il calo demografico e l’invecchiamento delle società occidentali,

Non è una minaccia, è una risorsa.

Una politica di inclusione, dico io, non è solo pragmatismo come ha scritto Michele Serra nell’ “AMACA” de la Repubblica.

Serra sostiene che il razzismo è ideologico, mentre l’antirazzismo è solo pragmatismo.

Non è così, secondo me.

La costruzione di un inclusione, dove alla competizione e alla divisione internazionale del lavoro fra sfruttati, si contrappone una visione aperta della società è uno dei tratti fondamentali della democrazia e del socialismo libertario.

Non è una scelta meramente utilitaristica.

Deve essere una scelta ideale, un’idea di valore assoluta, un fine a cui tende la lotta per l’emancipazione.

Senza sbrodolate umanistico – retoriche sui più poveri, la richiesta di diritti e doveri per tutti è l’essenza di un percorso rivoluzionario e democratico.

Da varie parti si comincia a sentire che il famoso programma ” lavorare meno, lavorare tutti”, con l’uso virtuoso della tecnologia, non è un velleitario slogan da anni settanta.

Diventerà una necessità, questo sì, purchè sia inclusivo di idee, esperienze,cultura, studi, lavoro di chi porta in Italia e in Europa e nel mondo, non solo la testimonianza attiva della propria miseria, ma anche la volontà di cambiare insieme lo stato delle cose.

Con o senza G7.

Oggi manifestazione no G7.