Brano tratto da 1939 – 1945 il racconto della guerra giusta vol.2 di Pierluigi Raccagni

MUSSOLINI ULTIMO ATTO

I fascisti e i nazisti comprendevano benissimo che le strade da prendere erano solo due: o l’annientamento, dopo una difesa disperata, oppure la resa senza condizioni.

Benito Mussolini, che ormai diffidava di tutti, aveva confidato alla moglie il desiderio d’incontrare il Cardinale Schuster di Milano, parlando con la sorella aveva accennato alla difesa del ridotto della Valtellina con la volontà di morire sul suolo italiano.

L’idea di chiudere la grande epopea fascista, andando in Svizzera, certamente non lo allettava.

Ma lasciava le porte aperte a qualsiasi soluzione.

Non aveva più niente da perdere.

Il 17 aprile alle ore 21 Mussolini arrivò a Milano con un piccolo seguito e un distaccamento tedesco, fissando la sua residenza alla Prefettura di corso Monforte.

Voleva giocarsela politicamente fino all’ultimo.

Pensava di rivolgere un solenne discorso di commiato il 21 aprile, facendo uscire nello stesso giorno il suo nuovo libro “ Per la resurrezione della Patria”, edito da Mondadori.

Non se ne fece niente.

Le notizie che provenivano da Bologna mettevano i circoli fascisti di Milano in uno stato d’angoscia opprimente.

Iniziava lo squagliamento delle forze Repubblicane.

Il 20 aprile si riuniva d’urgenza in Prefettura il Consiglio dei Ministri per decidere finalmente lo spostamento del governo e dei fedelissimi in Valtellina, come previsto da tempo.

I pareri erano fortemente discordi, come è normale nei casi dove all’interesse generale della patria si contrappone l’interesse personale di salvare la pelle.

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Mentre l’esempio nazista, che trasformava ogni città in fortezza, aveva portato alcuni estremisti come Barracu ad immaginare di fare della capitale lombarda, “l’Alcazar del fascismo”, trasformando il palazzo della prefettura e gli adiacenti edifici in bunker, altri, come Pavolini, insistevano sulla Valtellina che lui stesso aveva ispezionato pochi giorni prima.

Non c’era il clima che aleggiava nel bunker di Hitler, dove al personale veniva consegnata una compressa di cianuro e dove Hitler con signora si apprestavano al suicidio.

Mussolini fidava nelle trattative in corso, si appellava al desiderio della maggioranza del popolo italiano di giungere ad un compromesso che evitasse uno spargimento di sangue in tutta la città di Milano.

I ministri della Repubblica moribonda si davano da fare.

Angelo Tarchi, ministro dell’Economia, aveva preparato una bozza di accordo con il CLN nella quale era prevista addirittura la consegna dei criminali Pietro Koch e del maggiore Carità.

Il 22 aprile, sentite tutte le discordanti campane di quel consiglio dei ministri, preda del panico, il Duce dava disposizione al ministro dell’interno Paolo Zerbino, che aveva sostituito Buffarini – Guidi, considerato troppo vicino ai tedeschi, e al capo della polizia Renzo Montagna, di trattare un formale passaggio di poteri fra le autorità di Salò e il Comitato di Liberazione.

Nel contempo, tanto per dimostrare la sua volontà di trattare anche coi socialisti, dava incarico a Carlo Silvestri, (un giornalista socialista confinato ai tempi del delitto Matteotti, perché aveva scritto come il capo fosse complice del delitto), passato poi alla repubblica di Salò, di cedere la repubblica allo PSIUP, con la speranza che questi difendesse la socializzazione delle forze produttive, attuando il piano di riforme sociali previsto dal Congresso di Verona.

La soluzione era sconcertante.

Mussolini voleva dimostrare a tutti i costi che lui era ritornato Repubblicano e socialista: Riccardo Lombardi e Valiani respinsero sdegnati la proposta portata da Silvestri.

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Si arrivò così al famoso incontro dell’Arcivescovado fra Mussolini e gli esponenti della resistenza, unico serio tentativo di negoziato da parte della Repubblica sociale.

L’incontro era stato organizzato dall’industriale Gian Riccardo Cella, che aveva acquistato il Palazzo e i macchinari del Popolo d’Italia, il giornale di Mussolini.

Il Duce lasciò il cortile della Prefettura in Monforte il giorno 25 aprile, il Cardinale gli aveva inviato una vecchia limousine che lo accompagnasse.

Con lui c’erano Zerbino, Barracu, il prefetto di Milano Bassi, Barra e Cella.

Si aggregò anche un tenente delle SS che fungeva da scorta personale.

Il generale Graziani venne invitato all’incontro un po’ più tardi.

Alle 3, 30 ebbe luogo una specie di riunione del Comitato di
Liberazione nazionale, nel quale il generale Cadorna, Marazza e
Lombardi furono designati a trattare coi fascisti.

I tedeschi intanto avevano promesso di arrendersi alle 17,00.

Mussolini, quando arrivò al palazzo arcivescovile, fu ricevuto da solo dal cardinale Schuster che, con grande gentilezza paragonò Mussolini a Napoleone, regalandogli anche un libro su S. Benedetto.

Come annoterà poco dopo il Cardinale nelle sue memorie, ad un certo punto Mussolini disse che il suo programma comprendeva

“…due parti e due tempi diversi. In un primo tempo, domani l’esercito e la milizia Repubblicana verrebbero disciolti: egli poi si sarebbe ritirato in Valtellina con una schiera di tremila camicie nere”.

Il Cardinale replicò:” E così…ella ha intenzione di continuare la guerra sulle montagne? Il Duce mi assicura: ”Ancora per un poco, ma poi mi arrenderò….” Il Cardinale notò che la cifra di 3.000 camicie
nere era più vicina a 300 e Mussolini rispose sorridendo:

“Forse saranno un po’ di più, ma non di molto. Non mi faccio illusioni”.

Cfr.W. Deakin, opera cit. pag.787

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Bisogna ricordare a questo punto che sugli ultimi giorni di vita di Mussolini quasi tutte le fonti sono memorialistiche e anche discordanti e contradditorie.

Ma su alcune circostanze storici e studiosi di parti avverse comunque concordano.

Uno dei punti unificanti è il senso di quello che successe in Arcivescovado.

Mussolini in Arcivescovado venne a trovarsi veramente solo in senso politico e umano.

Il cardinale Schuster e monsignor Bicchierai erano al centro di colloqui e segreti sondaggi che da mesi intercorrevano fra gli Alleati, i partigiani, i fascisti e i tedeschi.

Mussolini si illudeva di essere ancora una volta in grado di dettare delle condizioni.

Il colloquio preliminare del 25 aprile in Arcivescovado fra il Cardinale e Mussolini, però, rivelava già che, al di là delle apparenze, il Duce era un “uomo inebetito dall’immane sventura”, come scrisse poi Schuster.

Alle 18 finalmente arrivarono i membri del comitato.

L’accoglienza del Cardinale fu cordiale.

Furono introdotti immediatamente nel salotto.

Attorno al tavolo, accanto a Mussolini, come a fargli coraggio prese posto Schuster, Cadorna prese posto dirimpetto con Lombardi e Marazza.

Seguivano poi Barracu, Graziani e Bassi.

La conversazione all’inizio non andò malissimo per il Duce.

Quando Marazza disse che “aveva soltanto da chiedere una resa senza condizioni”, il Duce rispose che l’avevano ingannato perché gli avevano assicurato che le famiglie dei gerarchi si sarebbero potute radunare a Varese e le truppe concentrare in Valtellina.

Marazza rispose che queste erano le modalità dell’accordo dopo che fosse stata accettata la resa.

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Mussolini si dichiarò disposto a discutere, anche perché Cadorna precisò che gli Alleati avevano deciso di garantire a tutte le milizie Repubblicane coscritte e volontarie il trattamento dei prigionieri, secondo le regole internazionali, ad eccezione, ovvio, dei criminali di guerra.

Il colloquio, che si manteneva sulla lama del rasoio sembrava aver trovato un punto di congiunzione quando Graziani, con durezza intempestiva, interveniva dicendo in pratica al Duce che era poco decoroso accettare le condizioni dei ciellenisti senza aver consultato i tedeschi.

A questo punto vi fu il colpo di scena.

Marazza rispose a Graziani che da dieci giorni i tedeschi trattavano la resa con i partigiani.

Anzi, come in precedenza ricordato, i tedeschi erano sul punto di arrendersi proprio in quel momento.

Mussolini restò folgorato dalla notizia.

Si mise a insultare i tedeschi che lo avevano trattato come un servo, si alzò e lasciò l’Arcivescovado furibondo con tutti, impegnandosi a dare al comitato una risposta entro un’ora.

Nel frattempo alla sede arcivescovile era arrivato Sandro Pertini che incrociò la delegazione fascista che stava scendendo le scale.

Pertini era contrarissimo al fatto che il Duce si consegnasse agli Alleati, voleva istituire immediatamente un processo a Mussolini mediante un Tribunale del popolo incaricato di giudicarlo.

L’ex prefetto Tiengo, che era rimasto in un angolo della sala quando udì il senso giacobino delle parole di Pertini, avvisò la Prefettura dicendo di riferire ai gerarchi che ormai la situazione era nelle mani delle forze di sinistra,” dalle quali nulla di buono vi era da sperare”.

Mussolini, tornato in Prefettura con un viso “pallido come la morte”, inveiva contro tutti, Cella compreso, che lo aveva attirato in una simile trappola.

Poi. verso le 19,30, decise la partenza per Como.

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