Si riparte un’altra volta, sperando di sconfiggere il virus, mettere una pezza alla crisi economica, tentare una ricostruzione che rimuova le macerie materiali ed etiche causate dalla pandemia.

Anche se non colpiti direttamente dal virus, tutti siamo stati travolti dall’accaduto: il tempo, come sempre guarirà le ferite, anche se qualcuno sostiene che il 2020 non è passato invano ( il solito maestro del presente Michele Serra su Repubblica consiglia di non dimenticare il 2020, e chi se lo scorderà?)

La ripartenza avviene sotto i buoni auspici della scoperta e somministrazione del vaccino in Europa e nel mondo, in Italia siamo in ritardo soprattutto in Lombardia: la tradizione è dura a morire.

Su un fato però c’è il consenso trasversale della cultura dominante di tutti i colori: l’espansività verso la povertà, il disagio e la sofferenza, sembrano atti dovuti dopo anni o secoli di fetore ipocrita sul tema.

La pandemia infatti, ha approfondito il solco delle disuguaglianze in modo ancora più radicale: l’ultima inchiesta Istat dimostra che donne, giovani e Mezzogiorno d’Italia sono usciti a pezzi dal 2020, con scarse probabilità di rialzarsi nel 2021 ( il sondaggio potrebbe essere il copia incolla delle valutazioni sulla miseria italiana nel 1877, l’anno della sinistra risorgimentale al governo…)

Il cerotto e le bende della retorica della classe dirigente sono quelli degli ultimi trent’anni: bisogna investire in sanità, istruzione, nel digitale, nei traporti, nelle infrastrutture, nella modernizzazione dell’apparato produttivo….

Ma il Ricovery plan è un” prendi i soldi e scappa” senza alcuna virtù, almeno riformista, per una società più giusta.

Sul nobile tentativo di alleviare le crudeli disparità di classe del XXI secolo, illustri et illustrissimi comandanti sono diventati improvvisamente caritatevoli: fino a ieri sostenevano che la la lotta di classe è invidia sociale, rancore e non il passo necessario di una giustizia distributiva.

E ‘ facile prevedere che la ricostruzione in qualche modo dovrà prevedere il lavoro di tutti.

Costruttori di pace lo vogliamo essere tutti, e il presidente della Repubblica ha fatto bene a ricordarlo nel messaggio condiviso pure da Berlusconi Salvini, Meloni.

Ricostruire è già buono, l’Italia è un paese vitale, ma la competizione fra espropriati del proprio tempo, però, vuol dire creare un plus- tempo finalizzato solo a plus – valore.

Insomma i nuovi modelli di sviluppo sono fuori da ogni progetto che stia in piedi il lasso di tempo dell’inverno dello scontento….

Tanto è vero, come si noterà, in quella che dovrebbe essere una rivoluzione planetaria del modo di produzione, la riduzione della giornata di lavoro, si è persa nel buio della crisi dell’accumulazione capitalistica, anche se la liberale Merkel l’ha almeno prospettata.

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